Per offrire una migliore esperienza di navigazione e per avere statistiche sull'uso dei nostri servizi da parte dell’utenza, questo sito usa cookie anche di terze parti.
Chi sceglie di proseguire nella navigazione su magazine.familyhealth.it oppure di chiudere questo banner, esprime il consenso all'uso dei cookie. Per saperne di più consulta la nostra Cookie Policy .

Ho capito, chiudi il banner.

X

Niente pappa, capricci o disturbo alimentare?

17 marzo 2017

4768 Views

di Claudio Romano, pediatra gastroenterologo

C’è quello che segue il bambino per tutta la casa con il cucchiaio pieno di pappa, chi prova mille ricette, chi si storie, chi aspetta il momento di distrazione. Spesso nel momento dello svezzamento e fino ai 4 anni di età l’alimentazione del bambino rappresenta una sfida per mamme e papà. Ma perchè un bambino non mangia? Quando l’inappetenza del bambino è segno di un proprio disturbo alimentare?

 

“Arriva un bastimento carico carico di….”. E magicamente il cucchiaio con la pappa…finisce sul seggiolone, per terra o sul divano e in bocca nulla. C’è il bambino che butta tutto a terra, quello che gira la faccia e sputa tutto, quello che per mangiare deve avere un giocattolo in mano oppure stare in piedi. Il fatto è che molto spesso il momento dello svezzamento e fino ai 4 anni di età l’alimentazione del bambino rappresenta davvero una sfida (a volte sfinente) per mamme e papà. Ma perchè un bambino non mangia? Quando l’inappetenza del bambino deve preoccupare e il capriccio si trasforma in vero e proprio disturbo alimentare?

BAMBINI CHE NON MANGIANO, UN PROBLEMA COMUNE
I disturbi alimentari dell’infanzia sono un problema molto comune, che spesso preoccupa i genitori, intimoriti da eventuali malattie e conseguenze sullo sviluppo psicomotorio del loro bambino. Approssimativamente il 25% dei bambini con un normale sviluppo psicofisico e l’80% dei bambini con ritardo dello sviluppo presentano un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione, che si manifesta con una incapacità del piccolo di alimentarsi adeguatamente con conseguente difficoltà a prendere peso o significativo rallentamento della crescita.
In generale, il momento più a rischio per l’esordio di un disturbo alimentare è quello dello svezzamento, a partire dai 6 mesi di vita fino ai 4 anni di età, ovvero nel periodo di transizione dall’allattamento al seno (o dal biberon) al cucchiaio, bicchiere o tazza o da una consistenza liquida del pasto a una semiliquida e poi solida. La variazione nel tipo di pasto (liquido a solido), le caratteristiche (durezza, omogeneità, volume, viscosità, consistenza) e le capacità sensoriali (gusto) rappresentano infatti le tappe principali dello sviluppo delle capacità oro-motorie, che inizia verso i 6-8 mesi di età.
Il disturbo alimentare può avere un esordio molto precoce nel neonato nel quale si manifesta con pianto, coliche, interruzione della suzione, ipereccitabilità e irritabilità. In genere il disturbo si risolve senza problemi, tuttavia i più esposti a conseguenze della malnutrizione sono i neonati pretermine, quelli con peso alla nascita inferiore al 10° percentile per l’età gestazionale, quelli affetti da sindromi genetiche o handicap neuromotorio.

PERCHE’ I BAMBINI NON MANGIANO
Quando un bambino non mangia, o mangia poco o con difficoltà, il rischio di medicalizzazione è frequente e caratterizzato da esami per evidenziare eventuali patologie (allergia al latte, reflusso gastroesofageo, ecc), cambi vari di latte o ricorso a farmaci (ad esempio, antiacidi), che spesso non risolvono ma accentuano il problema.
Per individuare la strategia più efficace a risolvere il problema e quindi evitare inutili trattamenti farmacologici, se non necessari, è innanzitutto importante distinguere i disturbi alimentari che presentano cause organiche da quelli che non hanno cause organiche e quindi interpretare correttamente il ruolo dei fattori ambientali: atteggiamento dei genitori, cause mediche (ad esempio problemi di deglutizione) e disturbi del comportamento o dello sviluppo psicomotorio.
L’atteggiamento dei genitori, soprattutto della madre, è una componente molto importante nello sviluppo del comportamento alimentare di un bambino, e come tale può rappresentare un fattore coadiuvante molto importante. In particolare, possono avere un’influenza negativa un atteggiamento ansioso e preoccupato, intrusivo, ipercontrollante, rigido, iperprottettivo che non favorisce la ricerca di autonomia nel bambino, e la presenza di depressione materna o problemi psicologici di diversa natura.

BAMBINI INAPPETENTI, QUALI RISCHI
I bambini che presentano un disturbo del comportamento alimentare (DCA) in assenza di cause organiche si possono distinguere in 5 gruppi:

  1. Bambino con appetito limitato/alimentazione restrittiva: è un bambino (picky eater) che non solo restringe la scelta dei cibi, ma ne diminuisce anche la quantità. Ha poco appetito e non è interessato al cibo. Nonostante ciò, presenta in genere una crescita regolare. È una condizione comune negli anni prescolastici, ma se persiste per molti anni può determinare lo sviluppo di una alimentazione molto selettiva anche in età adulta.
  2. Bambino vigoroso con poco interesse per l’alimentazione: è un bambino attivo, energico, curioso e molto più interessato a giocare che a mangiare. In genere si rifiuta di rimanere seduto durante i pasti, mangia frequentemente, in piccole quantità. Fa fatica ad aumentare di peso. In genere non sono presenti cause organiche e viene definito con il termine  “anoressia infantile”.
  3. Bambino depresso con poco interesse per l’alimentazione: è un bambino poco attivo, poco interessato al cibo, ma anche all’ambiente che lo circonda e con scarsa comunicazione con i genitori. Il rischio di malnutrizione è più frequente in questo ambito.
  4. Bambino con alimentazione selettiva: è un bambino che limita la sua alimentazione a una gamma ristretta di cibi preferiti; mangia cinque o sei cibi differenti, spesso carboidrati come pane, patate fritte o biscotti. Non accetta di provare cibi nuovi (neofobico) e non cede in nessuna circostanza (non c’è trucco o strategia che tenga). Ha il “vomito facile”, ma nessuna difficoltà a mangiare o digerire il suo cibo preferito. L’atteggiamento di rifiuto è spesso correlato ad aspetti sensoriali come il gusto, l’odore o il colore. In genere è un bambino che, nonostante tutto, mangia a sufficienza (adeguato apporto calorico) e tende ad abbandonare questo comportamento restrittivo quando la scuola e gli incontri sociali diventano parte importante della sua vita.
  5. Bambini con paura o fobia specifica verso il cibo: è spesso un bambino che ha paura a deglutire o che evita cibi di aumentata consistenza (carne, pane).  Spesso è possibile individuare l’evento che ha scatenato questo comportamento: un episodio di disfagia o soffocamento, episodi di diarrea e vomito in pubblico durante i quali il bambino si è sporcato di fronte ad altre persone, o procedure orali dolorose o spiacevoli (alimentazione con sondino naso-gastrico).

COSA FARE SE IL BAMBINO NON MANGIA
Il comportamento dei genitori di fronte a un bambino vivace e che svolge le sue normali attività, ma che mangia poco, deve essere tranquillizzante: bisogna evitare le forzature che rappresentano la principale causa di peggioramento e cronicizzazione del problema. Il contatto con il pediatra di famiglia deve rassicurare i genitori riguardo all’assenza di problemi di natura organica. Il bambino mangia quello che vuole e quando vuole, talvolta questa “libertà” è importante insieme alla possibilità di condividere il momento del pasto con i suoi coetanei.

INAPPETENZA, DA CAPRICCIO A PATOLOGIA
Circa il 20-60% dei genitori ritiene che i propri figli non mangino in maniera sufficiente, o mostrino un atteggiamento di tipo fobico nei confronti dei cibi nuovi. Rispetto a quanto riferito dai genitori, solo l’1- 5% rispettano realmente i criteri per un sospetto di disturbo della condotta alimentare.
Di fronte a un bambino con il sospetto di disturbo dell’alimentazione, è opportuno affidarsi al proprio pediatra che farà la propria valutazione e il bilancio di salute. Un’anamnesi alimentare specifica comprende:

  • tipo di alimentazione alla nascita (allattamento materno versus artificiale),
  • cambi di formule,
  • epoca di introduzione dei solidi,
  • la dieta attuale,
  • consistenza,
  • modalità e durata dei pasti
  • comportamento durante il pasto (sintomi quali la tosse, il vomito potrebbero indurre a fare qualche indagine).

L’esame obiettivo che il medico curante provvede ad eseguire comprende la valutazione del peso e della lunghezza, inclusa la circonferenza cranica, la ricostruzione della curva di crescita, la presenza di anomalie a livello della cavità buccale e il grado di sviluppo del bambino. La scarsa crescita è presente nel 40-50% dei pazienti con disturbo dell’alimentazione correlata con un ritardo della diagnosi. Nessuna indagine di laboratorio è indicata nel bambino con esame obiettivo, curve di crescita e sviluppo normali. Il pediatra curante inoltre deve conoscere e correggere eventuali dinamiche familiari di approccio al bambino non corrette dal punto di vista educazionale (eccessiva ansia, atteggiamenti molto puntivi, alimentazione notturna, persecutoria forzata, condizionata da distrazioni e pasti prolungati).

La maggior parte dei bambini con disordini nutrizionali può essere gestita da interventi di nutrizione ed educazione del comportamento alimentare all’interno, almeno inizialmente, dell’ambulatorio del pediatra di famiglia. In casi molto limitati, e su indicazione del pediatra curante, può essere utile un approccio multidisciplinare che prevede il coinvolgimento di uno specialista pediatra/gastroenterologo e/o nutrizionista (ad es. valutazione, diagnosi e trattamento delle carenze della dieta e nutrizione), un logopedista (valutazione della capacità fisica di deglutizione, progettazione e realizzazione dello schema di deglutizione), terapisti della riabilitazione (valutazione di capacità fisiche alimentazione e di sensibilità sensoriale, implementazione di modifiche ambientali per migliorare le abilità nell’alimentarsi). Gli obiettivi dell’intervento sono i seguenti:

  • a) riabilitazione nutrizionale (garantire adeguate calorie, proteine e altri nutrienti),
  • b) modificazione del comportamento alimentare e nutrizionale,
  • c) educazione della famiglia sulle tecniche di nutrizione e comportamento,
  • d) il monitoraggio della crescita e dello stato nutrizionale,
  • e) l’assistenza economica/sociale, quando necessario.

In conclusione, nella maggior parte dei casi i disordini nutrizionali sono transitori, ma nel 3-10% dei casi si possono associare al rischio di malnutrizione. L’approccio clinico deve essere rassicurante e “correttivo” nella gran parte dei casi, anche se devono essere evidenziati eventuali segnali d’allarme (vomito, ritardo psicomotorio etc) o la tendenza verso la scarsa crescita o la malnutrizione.

Family Health si impegna a diffondere la cultura della prevenzione consapevoli che il primo passo per il proprio benessere è pensare alla salute.

Prova Family Health e il suo Fascicolo Sanitario Digitale Personale. Archivia i tuoi referti medici, condividi informazioni corrette con il tuo medico e tramanda la tua storia clinica alle generazioni future. SCOPRI DI PIù!

Patrocinato da: