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Giorgia Benusiglio. Una vita per sensibilizzare i ragazzi contro la droga

21 giugno 2017

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Giorgia Benusiglio è una giovane donna bellissima. Ha 34 anni e ne sono trascorsi 17 da quando, nel 1999, ha assunto una mezza pastiglia di ecstasy che le è quasi costata la vita.  I suoi occhi verdi parlano e la sua energia è percettibile anche dalla voce. Ci sentiamo per l’intervista al telefono, dopo un primo contatto via FaceBook. I canali social possono rappresentare un incredibile mezzo di comunicazione e Giorgia lo sa bene, perché durante l’anno scolastico incontra circa 300 ragazzi al giorno sei giorni su sette. Parla con loro nelle scuole, nelle comunità, nelle carceri, poi continua a essere presente per loro e ad accogliere le loro richieste via web, rispondendo a ogni messaggio di aiuto.

Giorgia, cosa vuoi raccontarci della tua storia?

Avevo 17 anni quando una mezza pasticca di ecstasy mi ha mandato il fegato in necrosi nel giro di una settimana. Mi avevano dato 6 ore di vita. Da lì a poco sarei entrata in coma epatico irreversibile. Mi hanno presa per i capelli: sono stata il primo caso in Italia di epatite tossica fulminante, il secondo nel mondo, e i medici ancora non sapevano come comportarsi. Poi il miracolo: un fegato compatibile che mi ha permesso di vivere, di avere una seconda chance. Certo, per una persona sana, subire un trapianto e trovarsi improvvisamente paziente, è stato traumatico. Anche apprendere a 17 anni che la tua vita non sarò lunghissima… I dati parlano di 7/10 anni di sopravvivenza dall’intervento. Noi trapiantati sappiamo che siamo più cagionevoli e abbiamo le difese immunitarie più basse. Sappiamo che possiamo andare incontro a tumore. A 3 anni dal trapianto ho dovuto combattere contro un tumore maligno alla cervice derivato dai farmaci. Oggi, ogni mese devo fare gli esami del sangue, ogni 6 mesi un check up completo. Devo assumere farmaci salvavita tutti i giorni ma sono fortunata: ho avuto una seconda opportunità, ho superato ogni aspettativa di vita e so che ogni giorno è una conquista. Il danno è stato fatto. Non voglio concentrarmi sul passato e non posso concentrarmi sul futuro. Vivo il presente e cerco di fare della mia vita un capolavoro aiutando altri ragazzi a non commettere il mio errore.

Hai incontrato centinaia di migliaia di ragazzi, cosa può portarli a trasgredire e ad assumere sostanze?

La trasgressione fa parte dell’adolescenza. È quella fase della vita in cui vuoi spingerti oltre per provare, per capire, per sentirti grande. Ma c’è di più. Le motivazioni per cui un ragazzo arriva a provare le sostanze stupefacenti possono essere diverse. Certamente non vuole essere emarginato, ha un disagio, vive problematiche familiari, mancano alternative e luoghi sani di aggregazione. Ma molti sono vittime della cattiva informazione: pochi sanno che una sostanza possa farti male solo a lungo andare. Quando faccio loro questa domanda, sento sempre le stesse risposte: per una volta… Bene, da quella volta la mia vita è completamente cambiata. Spesso poi non si tratta solo di abuso di sostanze, ma ci sono anche fenomeni sociali correlati che vanno dal bullismo al cyberbullismo, dall’autolesionismo alla bulimia e anoressia.

Cosa cerchi di trasmettere ai ragazzi che incontri?

Ogni volta cerco di parlare loro col cuore e di tramandare informazioni corrette attraverso l’empatia. Fa la differenza quando entri nel cuore dei ragazzi, non solo nella loro testa. Racconto loro la mia esperienza da 11 anni e cerco sempre di farli emozionare coinvolgendoli in prima persona. Durante l’anno scolastico siamo impegnati 6 giorni su 7 per circa 300 studenti ogni volta. Chiedo sempre: “Quanti di voi sanno che anche solo una pastiglia può mandarti all’aldilà?”. Il punto è che tutti sanno che la droga fa male, che alla lunga crea dipendenza e può portare alla morte, ma pochissimi sanno che anche solo una piccola quantità ti può mandare nell’aldilà. Siamo cresciuti con genitori che fumavano e sul pacchetto era scritto “il fumo danneggia la tua salute”, eppure andavano avanti a fumare. Nella nostra mente si è allora fissata l’idea che forse il significato di “danneggiare” non è poi così drammatico. Soprattutto non è qualcosa che può accadere a noi. Accadrà a qualcun altro. E allora allontano il pensiero di pericolo. Nel momento in cui invece i ragazzi toccano con mano la mia esperienza, mentre parlo con lor per due o tre ore, si rendono conto. Non si può morire per epatite tossica, per edema cerebrale o polmonare. Ci sono stati tantissimi ragazzi che hanno sbagliato come me, eppure loro non ce l’hanno fatta. Io ho avuto una seconda possibilità e il mio compito è parlare ai ragazzi affinché sempre meno vivano esperienze di questo genere.

Dici spesso che ti senti la sola responsabile del gesto che hai compiuto, cosa ti senti di dire ai ragazzi?

Nella vita bisogna saper scegliere e non scendere mai a compromessi. Quando ero in sala operatoria o in terapia intensiva nessuno ha preso parte alle mie angosce, alle mie paure, a tutto quello che ho dovuto subire. Purtroppo sono io che mi dovrò gestire per sempre.

Un amico può starti accanto, ma la sua vita continuerà a differenza della tua e tu dovrai gestire il tuo errore. Allora ai ragazzi dico sempre di non aver paura a discostarsi dagli amici che propongono loro scelte sbagliate. Se non accettano il fatto che possano scegliere di dire no, forse non sono poi così amici. Nei nostri incontri insistiamo molto anche sulla differenza tra amico e conoscente. Per dare il giusto peso alle figure di una relazione.

E agli adulti?

Non si lavora più sull’autostima, l’autoefficacia e la fiducia in se stessi. I tre perni per una crescita sana ed equilibrata di un adolescente. Se un adolescente ha fiducia in se stesso seguirà meno il branco e sarà più facilmente leader. Al contrario il branco rappresenterà per lui la cosa più importante e avrà paura di non farne parte. Per questo è disposto ad accettare ciò che gli viene proposto. Poi permane una grande ignoranza, nella sua accezione più vicina al latino: manca la conoscenza. Molti ragazzi sono bombardati dalle informazioni, ma siamo davvero sicuri siano sempre corrette?

Tu incontri tanti ragazzi, parli con loro ma li ascolti soprattutto. Cosa ti raccontano?

La nostra società “sente” i ragazzi ma non si sofferma ad ascoltarli. Quando li incontro mi accorgo di questa loro necessità. Mi rendo conto, quando mi parlano delle cose più banali e anche di quelle più tristi, come le violenze, che hanno bisogno di essere ascoltati. E quando rispondo loro, anche in maniera molto banale, mi scrivono. Mi arrivano anche 30/40 messaggi al giorno. E sempre, alla fine, mi ringraziano per esserci, per averli ascoltati. Hanno bisogno di sentirsi ascoltati. Hanno bisogno di punti di riferimento. Si fidano di me e si affidano a me. Quando mi arrivano a parlare di anoressia o bulimia, o di violenze, è normale che non possa risolvere loro il problema, ma nel momento in cui si aprono, posso indirizzarli a persone e strutture competenti che lavorano bene con i ragazzi.

Cosa si può fare allora per prevenire casi di abuso di sostanze stupefacenti?

La prevenzione da sola non basta. Informare e parlare è fondamentale, ma poi bisogna lavorare sull’autostima, sull’autoefficacia. Il rapporto in famiglia è importantissimo per costruire la stima, poi la scuola dovrebbe lavorare sulle life skills: le competenze personali che ognuno di noi deve sviluppare per imparare ad affrontare con le proprie risorse degli eventi traumatici, normativi o non normativi. Mi spiego meglio, potrebbe essere la morte di un nonno oppure la separazione dei genitori. Un ragazzo che non ha capacità interiori può incorrere in comportamenti devianti. Se invece ha risorse personali supera l’evento in modo efficace. Le life skills sono l’empatia, il problem solving. Di queste dovrebbe occuparsi la scuola, oltre all’insegnamento delle materie curriculari. Troppo spesso, invece, i ragazzi sono lasciati soli. Ci deve essere una cooperazione da parte delle scuole, dei genitori, di tutti. Tutti insieme dovrebbero lavorare con e per il ragazzo, purtroppo non è così.

Giorgia ha scritto un libro, Vuoi trasgredire? Non farti per le Edizioni San Paolo. È giunto alla sua ottava ristampa ed è stato tradotto in diverse lingue ed è distribuito anche in Europa. La campagna contro le droghe è ora la sua missione di vita e per documentare la sua esperienza ha prodotto con il regista Ambrogio Crespi un docufilm dal titolo “Giorgia Vive” che ha vinto lo scorso anno il premio Taormina. Ecco il trailer: https://youtu.be/Y8wETmiivPM.

 

 

di Redazione Family Health

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