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Empatia: cos’è e perché va allenata negli adolescenti

19 luglio 2017

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Quante volte avete provato a intavolare un discorso con vostro figlio adolescente? Spesso sembra di parlare con extraterrestri: saccenti, assenti, arroganti, mugugnanti esseri che vivono su un altro pianeta e faticano a raccontare la loro giornata. Figurarsi a esternare ciò che provano. Sanno provare empatia, se non riescono a esprimere come si sentono? L’empatia può prevenire fenomeni come il cyberbullismo?

Una bella sfida! Un altro grande compito per noi genitori.

Empatia è… mettersi nei panni dell’altro

State passeggiando nel centro della vostra città in un pomeriggio sereno. All’improvviso un passante inciampa scendendo dal marciapiede e cade riverso sul pavet.

Cosa fate? Gli correte incontro per aiutarlo e capire se si è fatto male. Anzi, potete quasi percepire il suo dolore, un’esperienza già provata in un’altra occasione. Questa è empatia. Dovrebbe essere una predisposizione innata, generata dai neuroni specchio, che si attivano permettendoci di riconoscere segni del volto e del corpo. Questi, associati ad esperienze e ricordi del nostro bagaglio personale, ci restituiscono un significato di quanto sta accadendo all’altro.

I neuroni specializzati si attivano con la vista e con l’udito, ma per noi ha un impatto maggiore, come si evince già dal loro nome – specchio – vedere l’altro fare una determinata azione. Per il nostro cervello sarà come se la stessimo svolgendo noi.

In sintesi, se vediamo una persona spaventarsi o rattristarsi, saremo naturalmente portati a immedesimarci.

In pratica, abbiamo una straordinaria capacità di cogliere dai piccoli gesti – comunicazione non verbale – cosa prova l’altro. Uno strumento eccezionale, se adeguatamente affinato, per relazionarci con il prossimo e socializzare.

Per gli adolescenti non è così semplice

La capacità di mostrare empatia si perfeziona proprio nella fase dell’adolescenza ed è connessa allo sviluppo cognitivo.

Per dirla con semplicità, non è del tutto scontato per un tredicenne o un quattordicenne, comprendere il suo compagno in difficoltà. E questo spiega perché, nella maggior parte dei casi, alcuni di loro tendono a minimizzare le conseguenze: “era solo un gioco”, “ho solo fatto un video”, “scherzavamo” …

E qui entra in gioco il ruolo educativo. Tocca al genitore offrire una spiegazione, commentare le conseguenze, sensibilizzare il proprio figlio senza giustificarne sempre i comportamenti. Nella rete come nella vita reale ci sono regole di buon senso e prima fra tutte è il RISPETTO, per se stessi, ma anche per l’altro. Fenomeni come il bullismo e il cyberbullismo rappresentano la negazione dell’empatia: faccio ciò che mi rende più forte e figo agli occhi del mio mondo di riferimento e non provo alcuna compassione.

Adolescenti ed emozioni nell’era dei social network

Con le tecnologie entrano poi in gioco altri fattori. I nostri ragazzi sono abituati a stare davanti a uno schermo, per mandare messaggi, rapportarsi con amici e compagni, e questo non favorisce l’affinamento delle loro capacità empatiche, oltre che relazionali. In altre parole, con l’intermediazione del mezzo – smartphone, monitor – i ragazzi si sentono più protetti e l’altro non rappresenta più il confine che autoregola il loro comportamento. Se insultano, lo fanno dietro lo schermo e non vivono in modo diretto e acceso la risposta dell’altro.

È fondamentale, in questo senso, che i genitori facciano da “grillo parlante” per far capire ai ragazzi le conseguenze di ogni loro azione. Devono imparare ad assumersi la responsabilità delle scelte che compiono. E questo non è sempre chiaro, nella vita reale, come in quella virtuale.

Qualche consiglio, aiuta

È evidente allora che questa competenza va appresa e, affinché i ragazzi la facciano propria, devono esercitarsi. Come?

  • Aiutandoli fin da piccoli a riconoscere e dare un nome alle proprie emozioni
  • Creando con loro un dialogo costante e aperto, rispettando i loro silenzi e i loro tempi
  • Commentando ad alta voce situazioni capitate ai coetanei
  • Guidarli nell’interpretazione del linguaggio non verbale, anche in modo divertente, osservando i toni, le espressioni del volto e le posture del corpo (bellissima in questo senso è la serie disponibile su Netflix dal titolo “Lie to me”)
  • Dando il buon esempio, rispettando gli altri e dimostrando di essere altruisti
  • Sintonizzandosi sul loro sentire
  • Promuovendo vacanze in campi estivi per lavori socialmente utili
  • Sollecitando la comprensione e la cooperazione nell’aiuto reciproco, in casa come a scuola.

L’empatia si va formando in adolescenza. Rientra nelle soft skills più richieste in azienda. È dunque una dimensione da coltivare, soprattutto nell’epoca della rivoluzione digitale che tende a trasferire nel virtuale, spesso sullo stesso piano, emozioni e sentimenti del mondo reale.

È tempo che gli adulti si riapproprino del loro ruolo educativo, sostenendo nei ragazzi la maturazione dell’empatia e smettendo di giustificare comportamenti sbagliati che, attraverso i social, rischiano di depotenziare e disattivare funzioni vitali per una società fondata sul rispetto dell’altro.

 

di Redazione Family Health

 

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