Poliomielite, un incubo dimenticato. Possiamo sentirci sicuri?
di Roberto Burioni, Professore Ordinario di Microbiologia e Virologia
La poliomielite è una malattia virale che ha avuto un impatto sociale drammatico; grazie alle vaccinazioni è scomparsa, ma per non rivederla (e non rivedere gli effetti collaterali gravi della vaccinazione) è indispensabile mantenere un’altissima copertura vaccinale.
Poliomielite era un nome che faceva paura: chi è nato prima degli anni ‘60 non ha bisogno di spiegazioni. Il picco dell’epidemia negli Stati Uniti fu raggiunto nel 1952, con quasi 58.000 casi; in Italia nel 1955 con oltre 8000 paralisi. A un certo punto, agli inizi degli anni Cinquanta, in alcuni paesi – come la Svezia – il virus della polio era il più spietato killer dell’infanzia: un bambino su cinque moriva a causa della terribile infezione. Le famiglie erano terrorizzate e si diffusero le più strane dicerie: siccome l’infezione era più frequente d’estate, si arrivò a ipotizzare che la malattia fosse trasmessa dai gelati.
Poliomielite e il paradosso della pulizia
La cosa strana era che, mentre con il migliorare delle condizioni igieniche le altre infezioni diventavano meno pericolose, la poliomielite diveniva più grave, più mortale e più terribile con il passare degli anni. Come si poteva spiegare l’anomalia?
Per capire il paradosso dobbiamo spiegare qualcosa della malattia. La poliomielite paralitica è causata dall’infezione di un piccolo e temibile virus che viene trasmesso per via oro-fecale. In altre parole, ci si infetta quando una piccola traccia di escrementi arriva a contaminare l’acqua che beviamo o il cibo che mangiamo. Prima dell’arrivo dell’acqua corrente nelle case, prima dei bagni, delle fogne e del sapone questa disgustosa eventualità era molto frequente. Bastava bere dell’acqua non pulita, toccare del cibo con le mani sporche, avere intorno delle mosche che si posavano prima su qualche schifezza e poi sugli alimenti, per entrare in contatto con il virus. Nelle condizioni igieniche di una volta, tutti contraevano l’infezione e magari incontravano più volte nella vita il virus, sviluppando una potentissima risposta immune; le mamme, ben immuni, trasmettevano ai bambini che nascevano una robusta dose di anticorpi. I bambini che vivevano in mezzo alla sporcizia entravano in contatto con il virus molto presto, quando ancora erano protetti, anche solo parzialmente, dalla presenza degli anticorpi materni: bastava una traccia d’immunità per consentire alla malattia di decorrere nella forma più lieve.
Con il migliorare delle condizioni igieniche lo scenario è cambiato. In un mondo “pulito” il virus circolava molto di meno: non tutti venivano infettati e molte donne arrivavano alla gravidanza senza avere alcuna immunità. I bambini nascevano senza gli anticorpi trasmessi dalla madre (non avendoli, la madre non poteva darli al figlio!) e, sempre a causa della migliore igiene che ne diminuiva la trasmissione, entravano in contatto con il virus a un’età sempre maggiore, in cui la malattia poteva assumere un andamento più grave. Pensate che Franklin Delano Roosevelt fu infettato a trentanove anni.
Vaccini anti-polio
Nel 1955 furono messi a punto due vaccini estremamente efficaci contro la poliomelite. Vennero utilizzati massicciamente e il numero di casi cominciò drasticamente a calare. Negli Stati Uniti si passò dai 58.000 casi del 1952 ai 2500 del 1957, per scendere a 61 nel 1965. In Italia il vaccino fu adottato poco dopo, ma l’effetto fu lo stesso. Negli anni Sessanta i casi erano passati da molte migliaia a poche centinaia e il nostro paese vide l’ultimo caso nel 1982. Le estati potevano svolgersi in tranquillità e finalmente l’incubo della polio era svanito.
Possiamo quindi dirci liberati dalla poliomelite? Possiamo smettere di vaccinarci? Purtroppo no: il virus è scomparso dalla gran parte dei paesi, ma è ancora presente in Afghanistan, Pakistan e Nigeria. La trasmissione è subdola (può avvenire anche da persone senza sintomi) e quindi è indispensabile tenere altissima la copertura vaccinale, anche per evitare danni da vaccino. Sembra un paradosso, invece è proprio così.
Vaccino Sabin
Per molti anni in Italia abbiamo utilizzato il vaccino Sabin, costituito da virus vivo attenuato, che induce nei vaccinati un’immunità formidabile. Si replica proprio come il virus della poliomielite, ma è stato modificato in laboratorio in modo da avere perso la capacità di raggiungere il sistema nervoso centrale. In questo modo lo stimolo del sistema immunitario è identico a quello prodotto dal virus “vero”, ma l’infezione non causa la paralisi. In particolare la vaccinazione riesce a far sviluppare un’immunità sulla superficie della mucosa intestinale in grado d’impedire completamente la replicazione del virus, che a quel punto non può più circolare nella comunità. Non solo: gli individui vaccinati emettono il virus “buono”, che entra in competizione con quello “cattivo”. Molte persone che non si sono vaccinate vengono quindi inconsapevolmente immunizzate attraverso una trasmissione secondaria del virus (ovvero entrano in contatto con il virus “buono” eliminato da un individuo vaccinato), fenomeno che quando i tassi di vaccinazione sono bassi risulta in pratica molto favorevole. Purtroppo il vaccino Sabin aveva un problema. Raramente (un caso su 750.000 vaccinazioni) il virus attenuato replicandosi “retro-mutava”, tornando identico al virus originario e riacquistando la capacità di raggiungere il sistema nervoso centrale e di causare una poliomielite molto simile a quella causata dal virus “vero”. Quando i casi di poliomielite nel nostro paese erano molte migliaia ogni anno, il rischio era più che tollerabile; ma a un certo punto il virus della poliomielite in Italia sparì e tra il 1992 e il 2002 ci furono nove casi di paralisi associata alla vaccinazione antipolio e nessun caso di poliomielite. Il rapporto rischio-beneficio non era più accettabile e per questo si decise di cambiare il protocollo di vaccinazione, utilizzando il vaccino a virus inattivato (contenuto attualmente nel vaccino esavalente), che era stato messo a punto da Jonas Salk.
Vaccino Salk
Il vaccino Salk è molto sicuro: è composto da virus inattivato, quindi non in grado di replicare. Bisogna somministrarlo per via iniettiva e richiede, dopo la prima vaccinazione, anche diversi richiami perché è meno efficace nell’indurre immunità. Soprattutto, pur proteggendo bene l’individuo dalla poliomielite, non è in grado di suscitare quanto il vaccino Sabin l’immunità intestinale. Gli anticorpi sono principalmente nel sangue e questo rende la risposta immune meno efficiente nell’inibire completamente la replicazione del virus. I dati non sono chiarissimi, ma mentre chi è stato vaccinato con il vaccino Sabin, a virus attenuato non permette minimamente la replicazione del virus all’interno del suo organismo, chi è stato vaccinato con il Salk può consentirla, almeno parzialmente. In altre parole, mentre il vaccino Sabin è perfetto per suscitare un’efficace immunità di gregge, il Salk è più sicuro, ma meno efficiente nel conseguire questo importante obiettivo.
Riassumendo, il vaccino sicuro si può utilizzare solo nel caso in cui si verifichino contemporaneamente due fatti, che sono: la percentuale di persone vaccinate è altissima; la probabilità di arrivo del virus molto bassa.
Il modo migliore per non avere danni da vaccino è vaccinare tutti
Il tasso di vaccinazione in Italia è stato per molti anni altissimo, ma sta calando progressivamente e in alcune parti del paese si è pericolosamente abbassato. Se in una di queste zone – magari in una comunità di persone non vaccinate – arrivasse dall’estero un individuo che emette il virus della poliomielite, potrebbe verificarsi un’epidemia. A quel punto non potremmo rischiare la diffusione del virus e dovremmo immediatamente vaccinare tutti di nuovo con il più efficace vaccino Sabin. Torneremmo dunque a rivedere quei casi di paralisi indotta dal vaccino che dal 2000 in poi non abbiamo naturalmente più registrato.
Il modo migliore per non avere danni da vaccino è quindi vaccinare tutti. Sembra un paradosso, ma è proprio così.