Tumore alla prostata, possiamo fidarci del test del PSA?
di Francesco Cognetti, oncologo
Nonostante il nome Antigene Prostatico Specifico (PSA), a tutt’oggi gli specialisti di carcinoma prostatico non concordano ancora sul ruolo da affidare a questo marcatore nella diagnosi del tumore alla prostata. E’ quindi utile il test del PSA, che valuta i livelli ematici di questo marcatore?
La diagnosi precoce del tumore alla prostata è resa molto difficile dal fatto che questa neoplasia cresce molto lentamente e può rimanere silente per molti anni. Inoltre non esistono screening specifici, come per il tumore del seno o del colon retto o della cervice uterina.
PSA, sì o no?
È scientificamente dimostrato che il livello del PSA nel sangue aumenta in presenza del tumore. Tuttavia i suoi valori elevati possono essere causati anche infiammazioni o infezioni. Per ottenere risultati più precisi è preferibile affiancarlo ad altri marcatori. Uno studio condotto in Europa su 162.387 uomini ha evidenziato, grazie a questo test, una netta riduzione della mortalità (pari al 21%). Questo risultato non è però sufficiente a giustificare un’attività di screening su tutta la popolazione. Non sono evidenti effetti nella riduzione dei decessi tra i pazienti con più di 70 anni.
Infine bisogna ricordare che circa il 40% dei casi di tumore della prostata può essere trattato con la sorveglianza attiva. Questa prevede il monitoraggio della malattia attraverso esami specifici e controlli periodici in alternativa alle terapie radicali. E’ da anni riconosciuta dalle più importanti linee guida internazionali e sta sempre più diventando una valida alternativa alle cure tradizionali. Tuttavia solo pazienti che presentano caratteristiche ben precise (carcinoma di piccole dimensioni e con bassa aggressività biologica) possono riceverla.