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Comunicare con gli adolescenti: una sfida non impossibile

25 ottobre 2017

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di Maurizio Tucci, giornalista

Gli adolescenti ci appaiono sempre più come appartenenti ad una sorta di comunità chiusa che vive in un mondo tutto suo. Quasi una “enclave”, refrattaria ad entrare in contatto e comunicare con gli “abitanti” del territorio che la circonda. E quegli abitanti siamo noi.

 

 

 

Se è vero, oltre che estremamente suggestivo, quanto diceva Roberto Burgio – riferimento indiscusso della pediatria italiana – “l’adolescente eredita il bambino che ha in sé”,  è altrettanto vero che oggi la “società degli adulti”, ad iniziare dalla stessa famiglia, spesso fatica a riconoscere negli adolescenti gli eredi dei “propri” bambini e, soprattutto, la generazione destinata a succedergli.

Eppure la transizione dall’infanzia all’adolescenza, con tutta le sue complessità, c’è sempre stata e sono sempre esistiti i conflitti generazionali (in termini di comportamenti, ideali, stili di vita…) forse anche più aspri di quelli attuali.

Ma allora, cosa è cambiato? Perché la difficoltà di comunicazione tra adulti e adolescenti oggi ci appare maggiore di sempre?

E’ cambiato che in questo particolare momento storico-culturale il “salto”,  tra “noi” e “loro”, è stato di straordinaria portata. Perché non è stato solo un salto anagrafico, estetico o ideologico, ma sono cambiati addirittura territorio e protocolli di comunicazione.

La famiglia – un territorio mutato

Alla madre affettiva e al padre prescrittivo che – nel bene e nel male – descrivevano il territorio e i confini certi della famiglia, si è passati a due genitori entrambi condiscendenti ed amorevoli – e complessivamente deboli –  che spesso sono anche in concorrenza tra loro nel contendersi la palma res del più “amato” dai figli. Due genitori iperprotettivi e ossimorescamente “amici” dei propri figli, che hanno reso gli adolescenti più fragili nel confronto col mondo esterno e, quindi, ancora più portati a cercare protezione all’interno del gruppo dei pari.

E questa trasformazione ha influito anche sull’efficacia della comunicazione tra gli adolescenti e il mondo adulto. La “madre-sorella” o “madre-amica” è una vuota figura della nuova retorica familiare, perché non c’è nessuna figlia-sorella-amica (le testimonianze nei focus group che Laboratorio Adolescenza realizza costantemente nelle scuole sono unanimi) che si “fidi” di questa madre versione 2.0, confidandosi apertamente, come le mamme, invece, sono certe che facciano. Dovendo comunque “stare al gioco” gli adolescenti  mettono in scena, in famiglia, una comunicazione ibrida e sdrucciolevole, spesso più sviante delle naturali omissioni che una “genitore-genitore” sa di dover mettere in conto quanto parla con una “figlio-figlio”

L’iperprotettività del “nido” familiare rende più difficile il relazionarsi degli adolescenti anche con il mondo adulto “altro”, perché sono psicologicamente meno autonomi e sicuri di sé.

Lo vediamo nel rapporto con gli insegnanti. La costante presenza difensiva-protettiva della famiglia tende spesso a ridurre alla mera didattica la comunicazione tra gli adolescenti e i loro docenti, perché se e quando si tratta di gestire altri aspetti l’intervento dei genitori esautora il figlio, lo deresponsabilizza (tanto ci pensano mamma e papà) e gli fa perdere ulteriori spazi di autonomia adulta.

E lo vediamo anche nel rapporto col pediatra/medico. Da una indagine del 2013 realizzata da Società Italiana di Pediatria e Laboratorio Adolescenza (su un campine nazionale di 2000 adolescenti di 12-14 anni) è emerso che l’avvolgente presenza dei genitori rende meno efficace anche il rapporto tra il figlio adolescente e il suo medico. Molti adolescenti, infatti (38% dei maschi e 41% delle femmine), rinunciano ad affrontare con il medico argomenti che invece vorrebbero trattare, proprio perché vivono con imbarazzo la presenza dei genitori.

 I social network  e i nuovi protocolli di comunicazione

Oggi i “social network” sono l’ambiente in cui gli adolescenti trascorrono la maggior parte della loro vita di relazione e rappresentano  una sorta di cordone ombelicale che li tiene, H24, legati tra loro.  Ciò fa emergere uno scenario profondamente nuovo in cui anche il modo di relazionarsi è cambiato, perché in rete non valgono più le vecchie regole della socialità “classica”.

Ma cosa conosciamo, noi adulti (genitori, insegnanti, pediatri e tutte le figure adulte che si relazionano con l’adolescenza), di questo “territorio” nel quale gli adolescenti sono arrivati prima di noi e che – un po’ come i cow boy nei leggendari film sul far west – hanno colonizzato creando le loro leggi e le loro regole?

Quanto ne sappiamo di come si sviluppa la “socialità” nel web, di come si strutturano le relazioni nei social, di qual è il “linguaggio” della rete? (cose ben diverse dal saper utilizzare il computer e navigare in Internet). E – per venire al pratico – come possiamo adeguatamente supportarli e aiutarli tempestivamente quando incappano in una delle tante “trappole” che la rete dissemina (cyberbullismo, stalking, sexting,…), se non conosciamo i protocolli di comunicazione e i paradigmi che caratterizzano questi fenomeni?

La strada da percorrere

La strada da percorrere per allacciare (o riallacciare) una comunicazione con gli adolescenti, oggi indubbiamente sfilacciata, è impervia, ma non impossibile.

Per prima cosa dovremmo renderci consapevoli che l’adolescenza non è solo uno “spazio anagrafico” tra infanzia ed età matura, ma un mondo a sé stante con i propri codici e i propri riferimenti. Come il bambino non è un piccolo uomo (assunto dal quale è di fatto nata la pediatria), l’adolescente non è un “bambino grande”. La differenza è che il bambino vive nel nostro territorio, mentre l’adolescente ne ha uno suo, che dovremmo cercare di conoscere molto meglio di quanto non avvenga normalmente.

La seconda precauzione è che in questo territorio dovremmo entrare con più rispetto e non – come ci capita spesso – con lo spirito di colonizzatori frettolosi che vogliono ridurlo in modo molto tranchant ai propri modelli, perché considerati migliori per assioma.

La terza precauzione è il rispetto dei ruoli. Comunicare in modo efficace con gli adolescenti non significa fingersi uno di loro, così come comprendere il loro linguaggio e i loro protocolli non significa adottarli in prima persona. Conoscere l’ambiente “social” in cui vive un adolescente non significa mettersi a chattare con lui e i suoi amici.

D’altra parte sono gli stessi adolescenti a darci, in modo chiaro e diretto, le “istruzioni per l’uso” per una comunicazione efficace (tratte da un lavoro realizzato nelle scuole di Milano da Laboratorio Adolescenza nel 2015):

Attenzione  – che non significa “oppressione”

Dialogo – che non significa trattabilità di ogni regola (anche i “no” servono)

Comprensione  – che non significa “giustificazione” (gli errori vanno corretti)

Ascolto  – che non significa “interrogatorio”

Ma per far questo c’è bisogno di “tempo”; quel tempo che troppo spesso non riusciamo a dedicare loro.

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