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Father and son: nessuno tranne te sa fare il padre di tuo figlio

di Alberto Pellai, Psicologo e Psicoterapeuta

3 dicembre 2018

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Regia di Kore’eda Hirokazu. 2013 con Masaharu Fukuyama, Machiko Ono, Yôko Maki, Lily Franky, Jun Fubuki, Shôgen Hwang, Kirin Kiki. Titolo originale: Soshite Chichi Ni Naru. Genere DrammaticoGiappone, 2013, durata 120 minuti.

Trama

Che cosa succederebbe se dopo aver cresciuto un figlio per i primi sei anni della sua vita, l’ospedale ci convocasse per informarci che si sono resi conto di uno scambio in culla? Quindi il figlio che stiamo crescendo non è nostro figlio, ma appartiene ad un’altra famiglia, è stato concepito da un’altra mamma e papà. La scoperta di questo evento genera una rivoluzione nelle vite di due famiglie giapponesi. Due coppie di genitori stanno crescendo l’una il figlio dell’altro. E’ da questo spunto narrativo che ha origine questo bellissimo film di che ci mostra la crisi personale e del sistema famigliare cui va incontro Nonomiya Ryota, un architetto di successo, che sta dedicando la sua vita al lavoro con l’intento di garantire al proprio figlio un futuro sicuro e felice. Ma ora viene posto di fronte al crollo di tutte le certezze su cui ha costruito la sua esistenza. Il figlio per cui ha dato tutto non è suo figlio. Di chi – ora che sa cosa è successo alla nascita del suo bambino – lui è realmente padre? Del bambino che ha concepito ma non ha cresciuto, oppure dell’altro, ovvero il figlio che ha cresciuto ma di cui non detiene il legame di sangue?

In una vicenda che è al tempo stesso divertente ed emozionante, il grande regista giapponese Kore’eda Hirokazu ci fa entrare nella vita di due bambini e due famiglie, mostrandoci due stili di genitorialità paterna completamente differenti. Nonomiya Ryota e sua moglie Midori vivono infatti in una casa molto bella, con ogni confort a disposizione, ma hanno pochissimo tempo per godere delle loro relazioni e dei loro privilegi, perché il padre lavora sempre. Nonomiya è sempre disponibile a sacrificare il suo tempo libero per assolvere i doveri professionali che il suo responsabile gli propone. Il suo bambino trascorre intere giornata chiuso in casa con la madre. Si sentono spesso soli. Hanno tutto, ma forse mancano dell’ingrediente fondamentale che rende i legami famigliari, legami d’amore: l’intimità. In particolare la relazione tra Nonomiya e il suo bambino passa attraverso le parole, le spiegazioni. Non ci sono gesti, le emozioni sembrano congelate. Tutta diversa è invece la vita nell’altra famiglia che entra nella storia di vita di Nonomiya Ryota: è una famiglia che non ha grandi possibilità economiche, in cui ci sono tre fratelli, in cui il calore famigliare riempie la vita di sorrisi. Lì c’è un padre che gioca, sempre presente. Un padre che ha messo la relazione con i figli – e non il lavoro – al centro della propria vita.

Dopo molti dubbi e litigi con la moglie, Nonomiya decide di lasciare il figlio che ha cresciuto ai suoi veri genitori e comincia una convivenza con il proprio figlio biologico. Ma questo scambio porterà fatica e dolore nella vita di tutti. Scena dopo scena, noi spettatori respiriamo e condividiamo il dolore dello smarrimento di ciascun protagonista che si trova al centro di questo totale cambio di copione di vita. E’ chiaro: non può mettere la discendenza biologica di fronte alla appartenenza affettiva. E’ proprio questa la fase del film in cui ci rendiamo conto che si sono tutti persi: i papà, le mamme, i loro bambini. Nessuno sa più qual è il suo posto, qual è il suo ruolo, qual è il suo destino. E allora è Nonomiya che deve imparare a guardare dentro se stesso, a comprendere che cosa è rimasto del bambino che è stato e del padre che ha avuto nel suo percorso esistenziale. E’ proprio la memoria della storia da cui proviene che gli fornisce la chiave di accesso per comprendere il dolore che sta causando a tutti, perseguendo una scelta dettata dalla ragione e non dal cuore. Il percorso per diventare un vero padre di fronte al bambino che vorrà crescere porta Nonomyia a seguire dapprima la legge del sangue e poi quella del cuore. E questo percorso a slalom tra il suo passato e il suo presente, tra il figlio di cui è padre e quello di cui dovrebbe esserlo, Nonomiya abbraccia progressivamente la sua nuova identità di uomo e di padre. E’ questo che i figli regalano ai loro genitori: consentono loro di evolvere, di diventare persone migliori.

Che cosa ci insegna questo film?

Il dilemma di Nonomiya connota lo sviluppo delle vicende raccontate in questo film, ma anche l’evoluzione del suo mondo interiore e della sua trasformazione paterna. Di chi deve essere il vero padre? Del bambino che ha cresciuto dal primo giorno oppure del bambino che ha nel suo corpo il sangue del suo sangue? Non è una decisione facile da prendere e il film mostra la contrapposizione tra il mondo della razionalità e quello dei sentimenti, che è a sua volta una contrapposizione tra codice maschile e femminile, con riferimenti precisi anche alla cultura e al modo di concepire le relazioni famigliari nella società giapponese. Ma non solo lì.

Il messaggio del film

Il film racconta in modo immediato e commovente una realtà che riguarda tutti noi genitori: i bambini entrano nella nostra vita di genitori per aiutarci a costruire un ponte tra il passato – ovvero la storia da cui veniamo – e il futuro, ovvero quello verso cui tendiamo. Se il passato non lo abbiamo potuto scegliere, il nostro futuro – invece – lo costruiamo giorno dopo giorno, con le nostre scelte e le nostre consapevolezze. Nonomiya può diventare finalmente padre non perché si riappropria del figlio che gli è stato scambiato nella culla dell’ospedale, ma perché si riappropria del proprio mondo emotivo, della capacità di guardare la vita con lo sguardo del cuore e non con quello della legge. La scena in cui Nonomiya si lascia andare ad un pianto intenso e inaspettato è la scena in cui finalmente nasce davvero la sua dimensione paterna. Può così tornare dal bambino che ha cresciuto fin dal primo giorno di vita: è vero, non è il figlio che lui ha concepito. Ma è quello che lo ha fatto nascere come padre.

Le domande per riflettere dopo la visione del film

In “Father and son” si vedono due stili famigliari e genitoriali molto differenti. Quale stile è presente all’interno della nostra famiglia?

Il film presenta in modo molto concreto il dilemma tra famiglia e lavoro che ogni padre (ma anche ogni madre) deve imparare a gestire. Come vanno le cose nella vostra famiglia, rispetto a questo problema di conciliazione tra tempo degli affetti e tempo del lavoro?

Nel film i bambini sono spesso spettatori silenziosi dei dubbi e dei disagi che i genitori non sono in grado di affrontare e gestire e che non sanno trasformare in parola nella relazione con loro.  Quali sono i passaggi del film in cui i bambini protagonisti mostrano il loro disagio attraverso comportamenti e non attraverso le parole?

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