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Educare alla partecipazione, al fare insieme, non alla competizione e all’esclusione

di Maura Manca, Psicologa

23 settembre 2019

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I figli devono essere educati fin da quando sono piccoli alla partecipazione e alla condivisione, intesa come dividere con, in modo tale che diventi il loro modo di pensare e di agire, che per loro sia naturale essere partecipativi e collaborativi, in casa e nella comunità in cui vivono.

Per prima cosa si deve educare con l’esempio

Per essere credibili, e quindi ascoltati dai figli, ciò che si dice dovrebbe corrispondere anche a ciò che si fa. Difficilmente un genitore incoerente viene ascoltato o viene riconosciuto nel suo ruolo. Dobbiamo ricordarci che, a parte il differente temperamento che ognuno di noi presenta fin dalla nascita, l’ambiente in cui viviamo e cresciamo, può influenzare notevolmente lo sviluppo di un figlio, sia in positivo che in negativo. I bambini apprendono maggiormente da ciò che vedono, non da ciò che sentono. Il comportamento dei genitori diventa per loro un riferimento, un modello, nella loro mente rappresenta ciò che è giusto e sbagliato: “se lo fanno loro, lo posso fare anche io”. C’è una sorta di autorizzazione indiretta alla messa in atto di quello specifico comportamento che poi, nel corso degli anni, verrà generalizzato anche ad altro. “Tu lo fai, perché non lo posso fare io!”. È una delle frasi che gli adolescenti ripetono più spesso.

Se gli adulti di riferimento basano le loro interazioni sullo scontro e non sull’incontro, sulle litigate e le prepotenze, e non sulla tolleranza e sull’ascolto, i figli impareranno che quella che vedono e che vivono, è la modalità corretta con cui  relazionarsi. Lo riprodurranno senza neanche volerlo, non hanno i mezzi e le capacità per filtrare, gliele deve fornire il genitore. Per prevenire il fatto che possano avere problemi nel relazionarsi in maniera corretta con gli altri, bisognerebbe insegnargli a vivere sia con persone che la pensano come loro, che con chi la vede in modo differente. Per evitare le prepotenze, le imposizioni e l’intolleranza, devono crescere in un ambiente che gli fa arrivare il messaggio che il confronto è costruttivo e non va vissuto come un attacco alla propria persona. Se imparano il rispetto lo riapplicheranno nella loro vita, anche in rete. I social non creano mostri, amplificano semplicemente quello che le persone sono e che magari in altri contesti non esprimono così apertamente. Se ci sono le basi e i valori, non ci sarà tempesta e uragano che possa spazzarli via.

C’è troppo individualismo e poca collaborazione

Il “poter contare sull’altro” sta venendo un po’ meno. Manca il senso di gruppo, dal gruppo classe, al gruppo sportivo, a qualsiasi gruppo circoscritto ad una specifica attività. In un gruppo siamo tutti importanti, è un po’ come una squadra di calcio, a volte ha più visibilità chi segna e fa il gol, ma senza il lavoro della squadra e le intuizioni di tutti, non potrebbe esprimere il proprio talento. Si deve  imparare a suddividere i compiti a seconda delle competenze senza sentirsi inferiori o migliori, sono tutti importanti nello stesso modo. Per insegnarglielo si deve partire da quando sono piccoli. Anche la famiglia è una sorta di squadra. Ogni membro deve rivestire un ruolo, ci deve essere collaborazione, non può ruotare tutto intorno ad una sola persona che organizza il gioco per tutti. L’obiettivo è il rispetto della casa e quindi di se stessi e degli altri membri. I figli non sono e non devono essere piccoli principi perché poi rischiano di diventare piccoli tiranni. I genitori che vivono la vita a disposizione dei figli creano piccoli despoti pretenziosi. Essere disponibili, non significa essere a disposizione.

Attenzione ai modelli troppo competitivi

Se i figli crescono in un ambiente estremamente competitivo che basa tutto sul successo ed insuccesso, sulla prestazione e non sugli aspetti interni, non c’è solo il rischio che apprendano quella come modalità corretta con cui relazionarsi agli altri.
Questo non significa che non si debba trasmettere la competitività, ma non deve essere tutto, ci deve essere anche spazio per l’errore. La normalità è il successo più grande che si possa ottenere, sbagliare non è solo umano, è normale come il fatto che c’è chi è più bravo e chi è meno bravo man non significa che sia una persona migliore e uno un fallito. Ai figli si deve trasmettere il senso della misura in modo tale che acquisiscono un senso logico in tutto ciò che fanno.

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