Qual è l’età giusta per dare uno smartphone ai propri figli?
di Alberto Pellai, Medico Psicoterapeuta dell'età evolutiva, Ricercatore, Dip. Scienze Biomediche dell'università degli Studi di Milano
Usare bene uno strumento potente che contiene tutto il bene e tutto il male del mondo: in effetti nessuno sarà mai davvero pronto a una tale complessità e gli errori sono sempre possibili anche per noi adulti.
Nel suo libro “Emergenza Smartphone” (Corbaccio editore), Manfred Spitzer, neuropsichiatra tedesco, scrive cose estremamente interessanti e allo stesso tempo sconvolgenti e accompagna ogni affermazione con dati emersi da ricerche scientifiche pubblicate su prestigiose riviste. Racconta tante facce diverse degli smarthphones e in nessuna pagina si ha la sensazione di essere di fronte ad un nostalgico delle cose del passato che fatica a vedere le potenzialità dello sviluppo tecnologico.
Tra le infinite osservazioni sviluppate nel suo libro, il passaggio su cui voglio proporvi un dibattito è stabilire un’età minima dalla quale l’uso dello smartphone è una risorsa e non un pericolo. Ovvero, vi chiedo di dare un’indicazione chiara, così come succede per la patente di guida o per l’uso delle carte di credito.
Io ho immaginato che se mia figlia di undici anni avesse una carta di credito “no limits” la userebbe di certo anche per fare cose buone. Per esempio, se arrivasse nella sua scuola un’associazione che le mostrasse le storie di bambini suoi coetanei che vivono in paesi sperduti dell’Africa e che rischiano ogni giorno di non sopravvivere per la mancanza di medicine, di certo lei sarebbe molto più generosa di noi nel farsi carico di quel problema. Il suo slancio sarebbe tale da mettere a disposizione tutto quello che si può per un motivo così importante. Lei sceglierebbe con la mente di un bambino come è giusto che sia e non penserebbe certo a noi genitori che arrivati alla cassa del supermercato per pagare la spesa con la nostra carta di credito che “pesca” denaro dallo stesso conto in banca che lei ha appena prosciugato, ci vedremmo bloccata ogni possibilità di farlo.
Usare bene uno strumento potente che contiene tutto il bene e tutto il male del mondo: in effetti nessuno sarà mai davvero pronto a una tale complessità e gli errori sono sempre possibili anche per noi adulti.
Il mondo della scuola sta lanciando continui segnali d’allarme: bambini sempre più agitati, con disturbi dell’attenzione, ansiosi. Quello che emerge frequentando molte scuole è la sensazione che gli alunni vadano sempre più intrattenuti. Perdere la loro attenzione è questione di un soffio. Bambini estremamente intelligenti fanno fatica a restare concentrati o semplicemente fermi sulla sedia. La ricerca dice che più tecnologia equivale a più basso rendimento scolastico. Questa affermazione può più o meno trovarci d’accordo ma è sostenuta da una ingente massa di dati di ricerca. Molti affermano che si tratta di ricerche “a tesi predefinita”, ovvero che vogliono dimostrare i rischi correlati all’uso delle tecnologie. Ma nel libro di Spitzer si citano così tanti studi effettuati in tutte le parti del mondo, da lasciare “sullo sfondo” questo genere di critiche. Per esempio, si è visto che laddove aumentano gli investimenti per l’incremento delle tecnologie a scuola, automaticamente si abbassa il rendimento e il profitto (specie tra coloro che appartengono a famiglie a basso reddito). Sarà forse un caso che nelle scuole della Silicon Valley, patria delle più grandi aziende informatiche, le scuole frequentate dai figli di questi manager sono per la maggior parte “tecnologia-free”? Così è fino ai quattordici anni e le indicazioni restrittive di queste scuole vengono spesso estese dagli adulti anche nel tempo extra scolastico. Gessetti, teatro e contatto con la natura sono gli ingredienti che non devono mai mancare nella vita dei bambini per crescono in quella zona del mondo che ha digitalizzato l’intero pianeta.
Si prenda anche un problema non cognitivo, ma organico, come i deficit della vista. Moltissime ricerche descrivono la miopia nei minori come una patologia oculistica in continua crescita, specie nei giovanissimi. In Corea del Sud, paese dove si producono il maggior numero di cellulari al mondo, il 95% dei minori soffre di questo disturbo. Il motivo è che la vista per svilupparsi ha bisogno soprattutto di guardare lontano, di esplorare, di mettere a fuoco mentre l’uso massiccio di tecnologie impone una visione ravvicinata.
Le ricerche dicono che l’uso precoce e intenso di tecnologia abbassa la capacità di essere empatici. Ci viene spontaneo pensare a quanti messaggi di affetto scriviamo ogni giorno a persone più o meno vicine a noi e questo è senza dubbio una cosa buona. Ma se riflettiamo bene, ci accorgeremo che questa cosa non l’abbiamo imparata a fare in rete. Se siamo persone attente e sintonizzate è perchè dedichiamo molto tempo alle relazioni faccia a faccia. Immaginiamoci in automobile di ritorno dal supermercato con nostro figlio di dodici anni. Il fatto che abbia o meno il cellulare in mano, quanto influenzerà la sua decisione di aiutarci o meno a portare la spesa in casa?
Sempre Spitzer, analizzando l’impatto del videogioco “Pokemon go”, che per molti mesi ha conquistato l’interesse di milioni di utenti, ha messo in luce alcune evidenti problematicità. Per molti giocatori, infatti, Pokemon Go rappresentava uno stimolo che li obbligava ad uscire dalle case per cercare in giro i mostriciattoli. Questo da molti era considerato un positivo “effetto” prodotto dal videogioco: i suoi utenti, infatti, erano obbligati a muoversi, facendo attività fisica, e venisvano stimolati al contatto con la realtà. Le parole di un biologo canadese raccontano bene come questo non sia vero: “Quando un airone canadese è planato sull’acqua, posandosi a dieci passi dai giocatori di Pokemon Go, nessuno di loro lo ha notato e nemmeno ha sollevato lo sguardo dal telefono … il gruppo che si muoveva nell’erba alta, calpestava fiori e piccoli arbusti, indifferente al fuggi fuggi di uccelli e scoiattoli intorno a loro”. Se pensiamo ai nostri figli, non ci risulta difficile immaginarci una scena del genere. Non perchè loro siano disattenti all’ambiente o indifferenti alla natura, ma mentre stanno usando un videogioco, la loro attenzione è catalizzata su quello e tutto il resto va in black out.
Detto questo la domanda ora è tutta nostra. Cosa vogliamo fare con i nostri figli? Il dato di partenza è che il cellulare ce l’hanno quasi tutti. Ma è giusto che un bambino di 9-10 anni abbia già il proprio smartphone personale? E se foste voi a dover decidere per legge, l’età minima alla quale un minore può avere accesso alla vita online, dove fissereste quel limite?