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Il Coronavirus e i bambini

di Giovanni Corsello, Professore ordinario di pediatria all’Università degli Studi di Palermo

13 marzo 2020

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COVID-19 è il nome della patologia respiratoria legata alla infezione del nuovo Coronavirus che dal focolaio epidemico cinese si è diffuso in tutti i continenti dando origine a quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficialmente inquadrato come pandemia. Anche in Italia da qualche settimana il grado di diffusione e di aggressività del virus ha creato un allarme per la salute della popolazione, in particolar modo di quella più fragile per l’anzianità o per la presenza di malattie croniche concomitanti. In questi soggetti con maggiore probabilità si innescano infatti quei processi infiammatori che possono condurre ad una polmonite interstiziale bilaterale e rendere necessario un rapido ricorso alla ventilazione assistita e alla degenza nelle unità di terapia intensiva anche per periodi di tempo prolungati.

Più è alto il numero di soggetti contemporaneamente contagiati, maggiore è il numero di pazienti che rischiano di complicarsi con la polmonite e di dover ricorrere alla degenza in terapia intensiva. Ecco perché la chiave della gestione della epidemia in Italia in atto è rappresentata dal “contenimento”, con l’obiettivo di ridurre il numero di soggetti contemporaneamente affetti e quindi anche di coloro che sono a maggior rischio di quadri clinici gravi.  In questo caso si rischia la saturazione dei posti letto nelle unità di terapia intensiva o subintensiva, come sta accadendo in Lombardia e in altre aree del paese.

Merita una riflessione certamente il tema dei rischi per la popolazione di età pediatrica. In atto il numero di bambini contagiati è estremamente basso, nettamente inferiore al’1% del totale e quelli che si sono contagiati o hanno presentato sintomi lievi senza necessità di interventi di rianimazione o di degenza in terapia intensiva. Questa circostanza era già stata osservata nel corso dell’epidemia di SARS all’inizio di questo secolo, anch’essa provocata da un coronavirus, sindrome più aggressiva della attuale ma con livelli di contagiosità inferiori, ed è stata confermata dai dati provenienti dall’attuale diffusione epidemica della COIVID-19 in Cina. Il fenomeno può essere dovuto a meccanismi di immunità innata che proteggono i bambini dalla aggressività dei coronavirus (altri ceppi di coronavirus possono rendersi responsabili nei bambini di infezioni delle alte vie aeree che si autolimitano rapidamente) ovvero ad un assetto recettoriale che non favorisce l’aggancio e la penetrazione del virus nelle cellule epiteliali respiratorie dei bambini.

I bambini non sono quindi esenti da rischi e se la diffusione si estende sono oggetto di una patologia respiratoria che necessita di assistenza adeguata, ma non sono certamente tra quelli che rischiano di più in termini di complicanze e sequele. Possono però veicolare il virus anche in assenza di sintomatologia eclatante e quindi rappresentare un serbatoio per il resto della popolazione. Ecco perché è strategico coinvolgerli nelle strategie di prevenzione, attivando anche per loro un percorso di distanziamento sociale e di educazione a comportamenti protettivi (lavaggio adeguato e frequente delle mani in primis). I bambini inoltre vanno sostenuti sul piano psicologico, coinvolgendoli nel percorso di sicurezza, riducendo ansia e preoccupazione e favorendo interessi diversi dai soliti, più in linea con la necessità di stare in casa più a lungo del solito quali la lettura, e compatibili con il quadro complessivo delle esigenze della sanità pubblica.

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