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Adolescenti reclusi: l’isolamento non è una prigionia

di Maura Manca, Psicologa

1 aprile 2020

4415 Views

“Forse era meglio quando andavo a scuola”

“All’inizio era divertente, adesso sta diventando pesante”

“Mi sento soffocare in casa”

“Sto impazzendo”

Inizialmente tanti ragazzi, non hanno reagito particolarmente male all’isolamento in casa. Fondamentalmente si trattava di una “novità” che ha intaccato la scuola, l’istituzione inattaccabile per eccellenza. Ci siamo trovati davanti reazioni molto differenti: c’è chi ha continuato la propria vita, chi ha negato il problema, chi si è spaventato, chi ha reagito in modo responsabile ecc… Il problema, però, sembra emergere ora, a distanza di qualche settimana dall’inizio del blocco delle attività, quando l’incertezza e il dubbio stanno prendendo il sopravvento e rischiano di intaccare gli aspetti più razionali. L’emotività diventa sempre più difficile da gestire, lo stress dei vincoli, e del non sapere quando riprenderanno le attività, non è poi così facile da contenere. In parallelo, molti genitori, hanno già sperimentato di tutto e di più e alcuni, si sono giocati i jolly, per cui adesso, cercano di capire come compensare e riempire il tempo che rimane.

La noia aleggia nelle stanze di tanti ragazzi. Noia che viene vissuta come una sorta di non-azione, una condizione di impotenza. Non posso più essere potente, quindi, adesso che faccio? Non tutti i ragazzi hanno gli stimoli e le risorse personali per reagire autonomamente in maniera adattiva. Non tutti gli adolescenti vivono in un ambiente accogliente, in uno spazio in grado di accogliere i loro pensieri, le loro emozioni e i loro comportamenti. Tanti ragazzi, pur rimanendo connessi, si sentono ancora più soli di prima. Non tutti hanno i genitori disponibili, altri vivono in spazi ristrettissimi, tutti attaccati e sperimentano una sensazione di prigionia. Non è facile affrontare una condizione così estrema entrata prepotentemente nelle vite di tutti.

Isolamento non è prigionia. Questo è il primo concetto fondamentale che deve arrivare ad adulti e adolescenti. Non significa non agire, significa agire in un altro modo. Siamo noi che dobbiamo aiutare i più piccoli a leggere la realtà che stanno vivendo in maniera diversa, senza subirla. Non sono schiacciati dagli eventi. Uscire e continuare la vita di prima significa ammalarsi, rischiare di morire e di prolungare una situazione che non vogliono che si dilunghi. Allora è importante ricreare degli spazi di “normalità”, ristrutturare il loro tempo, fargli capire che non si è fermato niente, ma che è solo cambiato e, in parallelo,  è importante dargli alternative. Se vogliamo potarli fuori dal loro mondo e dalle loro stanze dobbiamo incuriosirli, creargli una valida motivazione, fargli capire per quale ragione devono cambiare le loro abitudini e magari, dover condividere ciò che non hanno mai condiviso. “Non faccio niente di male in camera mia, perché mi deve rompere e pretendere che vada a stare con loro o che parli con loro se non l’ho mai fatto?”. Questa è una frase che mi viene ripetuta spesso in questi giorni di isolamento forzato.

Dobbiamo lavorare sul concetto di insieme, di un noi, che troppo spesso, per colpa del nostro correre e dare spazio alla fretta, ci siamo persi all’interno delle mura domestiche. Si dà troppo spazio all’IO ho fatto, TU devi o non hai fatto, VOI così e VOI colà. Il Noi, il senso di insieme e di condivisione, purtroppo viene un po’ trascurato, e credo che questa condizione imposta dall’esterno ci abbia portato fortunatamente a riscoprirne il senso.

È normale che con il trascorrere del tempo chiusi in casa, l’emotività aumenti, la tolleranza si abbassi e quindi si scatti con più facilità. In alcuni adolescenti tutto questo movimento interiore si esprime anche con aggressività. Viviamo una sensazione psichica di ristrettezza mentale, di costrizione, siamo costretti a rivedere le nostre abitudini e divedere degli spazi fisici con altre persone. È una reazione da un lato anche naturale, ma appunto per questo, visto che non siamo animali, dobbiamo anche essere in grado di riformulare ciò che stiamo vivendo, riadattarci, capire che è una condizione transitoria e che poi la vita fuori dalle nostre case riprenderà, piano piano, ma riprenderà. La rabbia non è un’emozione che dobbiamo reprimere, soprattutto nei momenti di maggiore compressione. Ovviamente questo non deve essere neanche una giustificazione che autorizza a vomitare addosso all’altro tutto ciò che ci passa nella testa. Un genitore non si può far trattare da water da un figlio. Deve essere un contenitore, non un water.

Non possiamo aspettarci, però, che un adolescente capisca tutto questo da solo.

In più bisogna sottolineare che se i ragazzi non sono stati responsabilizzati precedentemente da nessun punto di vista, non è possibile pretendere che, come per magia, rispettino improvvisamente le regole, siano collaborativi in casa, comprendano la gravità del problema e magari diventino autonomi con uno schiocco di dita. A volte servirebbe Mary Poppins, ma purtroppo la realtà è ben diversa. Si può solo pensare di ricostruire o costruire in modo diverso ciò che non funzionava accettando che i tempi sono ben diversi da quelli sperati.

Usiamo quindi questo tempo per riscrivere dei passaggi che non funzionavano. Riscriviamo anche la modalità di gestione dei conflitti. Usiamo questo tempo per creare qualcosa che durerà anche dopo la pandemia. La maggior parte dei conflitti interni e di quelli che si innescano con chi ci sta intorno, sono nella maggior parte dei casi, completamente evitabili. Potremmo benissimo evitarli, eppure non lo facciamo. Non riusciamo a disinnescare quella bomba prima che esploda, e perdiamo tanto tempo ad aggiustare  i cocci rotti.

È importante imparare quindi a dare valore al contributo degli altri, anche quando non corrisponde alle nostre aspettative. Pazienza e tolleranza sono due alleate fondamentali. Se si vogliono stimolare i ragazzi vanno incuriositi, devono trovare un valido motivo per uscire dal loro mondo. Prima di tutto è importante capire che i loro bisogni sono impellenti, che tendenzialmente esistono solo loro e le loro esigenze e quelle del resto della famiglia spesso vengono meno. Non lo fanno per male, in tanti casi, sono anche abituati male fin da bambini.

Non ci dobbiamo dimenticare che gli adolescenti spesso nascondono dietro il loro rispondere male le loro paure, i loro timori e anche i loro problemi. Anche la loro vita è stata stravolta. A volte sfidano anche per mettere alla prova il genitore. Hanno bisogno di capire che il genitore c’è, che è lì, e può reggere. È vero che a volte lo fanno nel modo più sbagliato, però spesso, è il loro modo di comunicare e di chiedere conferme. Il loro atteggiamento sbagliato, a volte, è solo l’esito di tanti piccoli errori di comunicazione sui quali si è sempre sorvolato.

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