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Adolescenti Hikikomori: un fenomeno in crescita difficile da individuare precocemente

di Maura Manca, Psicologa

13 luglio 2020

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Si parla sempre più spesso del numero crescente di ragazzi che decidono “volontariamente” di isolarsi e, con il tempo, di non uscire più dalla propria stanza. Sono ragazzi che si ritirano da un punto di vista sociale e relazionale, che rifiutano il contatto diretto e fisico con le altre persone, e che decidono di mantenere solo quello attraverso gli strumenti digitali, tendenzialmente il personal computer. È un fenomeno sempre più diffuso anche nel nostro Paese e coinvolge ragazzini sempre più piccoli, anche a partire dai 12-13 anni di età.

Il termine Hikikomori significa letteralmente “stare in disparte, isolarsi”. Come si può intuire, è un termine che abbiamo importato dal Giappone, relativo a un fenomeno degli anni Ottanta. Non si deve confondere con la dipendenza da Internet, che spesso è una conseguenza, o con la Fobia sociale o alcune forme depressive. È un fenomeno che si definisce man mano nel corso dello sviluppo: un ragazzo non decide una mattina di alzarsi dal letto e di non uscire più di casa. Ci sono dei segnali, dei tratti di personalità, dei specifici comportamenti, che permettono di definire un profilo a rischio. Poi, tendenzialmente, si può anche individuare nella vita di questi ragazzi, la presenza di un fattore di stress che viene identificato erroneamente come la “causa”. Capita spesso che il problema sia relativo alla sfera scolastica. È anche vero, però, che i minori trascorrono gran parte della loro vita dentro le mura scolastiche e che quindi, la scuola stessa, rappresenti lo spazio in cui di frequente, si manifestano i problemi giovanili. Si tratta quindi di adolescenti che non riescono a reggere il peso delle comuni sfide della crescita e che preferiscono affrontare, non affrontando.

Quali sono i primi segnali d’allarme?

I primi segnali arrivano generalmente nel passaggio alla scuola superiore o al suo termine, momenti in cui il ragazzo deve affrontare nuove sfide, confrontarsi con persone nuove o con delle condizioni dalle quali vuole sfuggire perché non si sente pronto, come il dover prendere decisioni relative al proprio futuro. Bisogna fare particolare attenzione perché l’età di insorgenza si sta abbassando notevolmente e ci troviamo anche davanti ragazzini delle scuole secondarie di primo grado che preferiscono crescere dentro la propria stanza.

Solitamente la chiusura non avviene in modo netto: il primo segnale d’allarme è rappresentato dal rifiuto sempre più sistematico di andare a scuola o di effettuare attività fuori casa, da una graduale inversione del ritmo sonno-veglia, dall’abbandono delle attività sociali o che richiedono un contatto diretto con il mondo esterno e dalla preferenza per le attività solitarie. Spesso utilizzano anche scuse plausibili e riescono a convincere i genitori. Il ritiro sociale può manifestarsi con uno spettro molto ampio, fino ai casi in cui si trascorre quasi la totalità del tempo chiusi nella propria stanza, dove gli unici rapporti con l’esterno si hanno tramite gli strumenti tecnologici. Stiamo parlando di ragazzi che non riescono a esprimere in modo diretto quello che hanno dentro e che preferiscono l’utilizzo di un filtro, come lo schermo di computer. A volte si arrabbiano con i propri genitori quando si sentono forzati a svolgere specifici compiti e attività che non vorrebbero svolgere. Questa forzatura la interpretano come un’ennesima incomprensione che va a gravare in negativo sul loro stato emotivo e a rinforzare la loro chiusura e la loro scelta.

Si tratta di una forma specifica di isolamento e ritiro sociale dove non esiste una sola causa, ma l’insieme di alcuni fattori sommati nel corso del tempo, in aggiunta ad una fragilità psichica. Solitamente, si tratta di adolescenti particolarmente introversi e sensibili, che fanno fatica a instaurare relazioni soddisfacenti e intime o a gestire situazioni di difficoltà e delusione. L’ambiente scolastico può essere vissuto in modo particolarmente negativo per quel che riguarda le relazioni con i coetanei e anche con i professori; in svariati casi è possibile anche ritrovare una storia di bullismo alle spalle. Possono soffrire le pressioni sociali, soprattutto quelle legate a dover aderire a specifici ideali di perfezione, che favoriscono in ragazzi piuttosto fragili da un punto di vista psicologico, una bassa autostima, una scarsa motivazione e propensione al confronto, fino ad arrivare a rifiutarlo completamente.

L’isolamento gli permette di non mettersi in gioco in prima persona perché provano vergogna a mostrarsi e ad esporsi, temono lo sguardo degli altri che li ha accompagnati nella strada della loro clausura.

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