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Attenzione al perfezionismo dei bambini e degli adolescenti, la loro serenità è a rischio.

di Maura Manca, Psicologa

24 agosto 2020

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Quando parliamo di perfezionismo ci riferiamo a quella tendenza di raggiungere la perfezione, ovviamente ideale, in quanto non esiste. Il fatto che la perfezione non esista, non significa che non dobbiamo applicarci per cercare di raggiungere risultati sempre migliori.

Dare il meglio di se stessi è importante, ma non si deve mai perdere l’aspetto ludico, del piacere e del divertimento, nonché quello umano della vita, soprattutto quando parliamo di bambini e adolescenti in fase di sviluppo. Devono imparare a sbagliare e a ricavare qualcosa di utile dai propri errori. Fare tutto bene, secondo dei criteri imposti dall’esterno non aiuta a crescere perché non fa vivere il senso profondo delle cose, non permette di entrare in relazione con l’ambiente e con le persone, spoglia la vita degli aspetti emotivi a favore di un risultato, di un numero o di una posizione.

Il perfezionismo sembra un problema molto frequente e in aumento soprattutto in questa fase storica e purtroppo, è presente fin dalla prima infanzia, a partire dai primi anni di vita. I più piccoli non sentono solo la pressione sociale, dei familiari, delle loro aspettative, dell’ambiente scolastico o degli amici, ma anche quella social. Basta fare un giro nei vari social media che troviamo tutorial su come fare qualsiasi cosa “perfetta”. Vuoi fare una festa perfetta? Vuoi fare il regalo perfetto ecc… una ricerca della perfezione anche nelle nostre attività quotidiane, come se non si potesse più fare qualcosa di “normale”. Nella vetrina della rete sembrano tutto bravi in qualcosa, tutti capaci, tutti talenti, macchine da like. A volte credo non esistano più bambini “normali”. Ascolto prettamente genitori che sottolineano di quanto i figli siano bravi e talentuosi in tutto ciò che fanno; difficilmente li sento orgogliosi di ciò che sono i loro bambini.

A cosa può portare questa ricerca del perfezionismo?

Il perfezionismo non deve essere scambiato con la capacità di mettersi in gioco e di migliorarsi: è un DOVER fare alla perfezione, non un VOLER. Spesso il perfezionismo nasce dalle pressioni familiari, da aspettative troppo elevate che i genitori riversano nei confronti dei loro figli. Si origina anche dalla paura di sbagliare, del giudizio e della valutazione di chi ci sta intorno.

Questa ricerca della perfezione non favorisce il piacere di fare le cose e può generare insoddisfazione. Un bambino o un adolescente non riescono a godersi i risultati ottenuti, pensano di non aver fatto abbastanza anche quando hanno fatto tutto bene. “Potevo fare meglio”, “Qui non è proprio perfetto”, “ Non è andata come volevo”. Frasi spesso accompagnate da un po’ di delusione. Così non riescono a vivere ciò che stanno facendo, rischiano di non essere mai contenti e soddisfatti, e di sviluppare con il tempo anche un’ansia da prestazione. In questo modo si rischia che anche un consiglio venga letto come una critica, può generare frustrazione e un automatico giustificare le proprie azioni. Non ci si accontenta mai, anche quando è andato tutto bene. Non si prende in considerazione il “poteva andare peggio”, ma si vede solo il “poteva andare meglio”. Quando qualcosa non va per il verso giusto c’è il rischio che venga intaccato l’umore e che l’errore o ciò che la testa legge come tale anche quando non lo è, rimanga un pensiero fisso.

Nei casi più gravi si può andare incontro anche a un blocco, un rifiuto, un impuntarsi, un non voler andare più avanti. A volte preferiscono abbandonare ciò che stanno facendo perché non riescono a gestire le emozioni che si attivano e la paura di sbagliare.

Tutto questo perfezionismo rischia anche di andare a intaccare l’autostima perché possono arrivare a pensare di non essere adeguati e di non essere in grado di fare le cose.

Si può fare senza dover sempre dimostrare. Come devono intervenire gli adulti?

La sfera creativa e del piacere sono spesso messe in secondo piano a discapito di quella del dovere e della riuscita personale che si basa su un metro di giudizio secondo il quale sei realizzato se ottieni voti alti, medaglie, punteggi alti ecc…I figli non devono vivere nel dimostrare sempre qualcosa per essere riconosciuti. Non sono le prestazioni “perfette” che devono far felice un genitore, è un figlio in equilibrio che deve far felice un padre o una madre.

Puntare alla crescita personale è un insegnamento importante come fargli capire che si devono mettere sempre in gioco senza paura del giudizio. Nella vita c’è sempre da imparare, non si vale meno rispetto agli altri quando non si è ai massimi livelli. Sono i valori di una persona che arricchiscono. Il rischio è che il perfezionismo diventi patologico. Dobbiamo porre attenzione quando un figlio perde il piacere nel fare le cose, quando cerca solo il risultato, quando diventa più importate dimostrare piuttosto che provarci e impegnarsi per raggiungere gli obiettivi. Si può migliorare senza pressioni mentali, concentrarsi sul processo, non sul risultato.

È importante abbassare le aspettative e le pressioni esterne e puntare maggiormente sui canali espressivi valorizzando l’importanza dell’essere se stessi. La competizione è importante ma deve essere sana. Il confronto con gli altri serve per migliorarsi e per crescere, non va subìto. Non è tutto una gara o una sfida, neanche tra fratelli. Si devono evitare gli inutili confronti e puntare sulla valorizzazione delle risorse interne e delle differenze individuali.

I ragazzi oggi vivono già in una società altamente competitiva dove si respirano in ogni angolo le pressioni sociali e social. A volte serve riequilibrare e abbassare un po’ l’asticella, non si può pensare di essere al top in tutto. È importante lavorare sugli aspetti legati al piacere e al divertimento. Non possono diventare giudici troppo severi di se stessi, non godersi i propri risultati e non essere mai soddisfatti di se stessi.

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