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WEB JUNKIE

Una testimonianza unica e necessaria di come la videodipendenza sia un problema reale

di Alberto Pellai, Medico Psicoterapeuta dell'età evolutiva, Ricercatore, Dip. Scienze Biomediche dell'università degli Studi di Milano

19 novembre 2020

3466 Views

Regia di Hilla Medalia, Shosh Shlam. Genere Documentario – Israele, Cina, USA, 2014, durata 90 minuti

Trama

Web Junkie è un documentario di produzione israelo- statunitense girato nel 2013 all’interno di un centro di trattamento residenziale per adolescenti e giovani dipendenti da internet e dai videogiochi. Il governo cinese è stato il primo al mondo a definire la dipendenza da internet e videogiochi come una vera e propria patologia nei confronti della quale ha sviluppato e formalizzato approcci terapeutici e creato centri di riabilitazione. E’ proprio in uno di questo che si ambientano le vicende di questo docu-film. Nel “Centro di trattamento per la dipendenza da Internet” presente a Daxing nella provincia di Pechino, il sistema sanitario cinese ha messo a punto un programma di recupero e riabilitazione della dipendenza da internet rivolto ai giovanissimi ma comprensivo anche di sessioni di terapia famigliare e di interventi di psicoeducazione rivolti al mondo degli adulti. Sono i genitori a portare qui i loro figli, spesso con l’inganno, spesso contro la loro stessa volontà. Tutti i giovani pazienti vorrebbero infatti poter evadere dalle mura del centro di trattamento e ritornare alla loro vita consueta, soprattutto riprendere a videogiocare, attività da cui invece devono imparare a disintossicarsi nelle settimane di permanenza a Daxing. Il metodo riabilitativo prevede un mescolanza di tanti approcci diversi, offerti ai ragazzi attraverso una rigida disciplina di stampo militare. Ogni giorno devono partecipare a sessione di attività motoria, gioco sociale e progressivamente, con l’aiuto degli specialisti psicologi, sviluppare una consapevolezza sulla propria dipendenza ma soprattutto sulla sofferenza, spesso invisibile e silenziosa, che li ha portati a mettere lo schermo al centro delle loro vite e a renderlo l’unico motivo per cui stare al mondo. Mentre i ragazzi acquisiscono questa consapevolezza e vanno incontro alle profonde trasformazioni psicologiche che li renderanno capaci di tornare ad abitare la loro vita, sfuggendo al rischio di un ritiro sociale totalizzante, i loro genitori si sottopongono a sessioni di terapia famigliare dove scoprono quanto ciò che c’era nella relazione educativa con i figli – dall’eccesso di utilizzo di punizioni corporali ad un’ansia impotente con cui non hanno saputo interrompere in alcun modo la deriva ossessiva che ha risucchiato negli schermi la vita dei propri figli – abbia rappresentato un substrato che ha fatto da terreno di coltura al problema clinico divenuto poi ingestibile dal punto di vista educativo.

Cosa ci insegna questo film

Si vedono nel film ragazzi che stanno fisicamente male quando vengono deprivati della permanenza davanti allo schermo, ma si intuisce anche come quello schermo abbia per molti di loro rappresentato un’anestesia in grado di ottundere un dolore e un disagio profondo sviluppatosi all’interno di sistemi famigliari mancanti di competenze emotive e troppo dispersi in lavori che sovraffollano l’esistenza degli adulti. Che perciò diventano adulti evanescenti e invisibili che generano un senso di vuoto difficile da colmare nell’esperienza della vita reale. Si rimane sgomenti, come spettatori, per l’approccio che a volte è davvero “primitivo” e poco adeguato presente nei trattamenti riabilitativi proposti ai giovani pazienti. Va però detto che in questa percezione così critica gioca naturalmente un ruolo importante anche il divario culturale e il modo in cui regole e disciplina vengono gestite all’interno della società cinese, con un approccio molto autoritario e centrato su chi detiene il potere che quindi detta in modo non negoziabile le regole cui ci si deve attenere. Certo, rimangono nel cuore gli sguardi, le parole, i vuoti, i silenzi con cui i ragazzi ospitati in centro di cura ci raccontano come e perché si sono persi non solo dentro gli schermi, ma anche dentro le loro vite nell’età in cui avrebbero invece dovuto costruirsi una solida mappa di navigazione interiore con cui affacciarsi al territorio dell’adultità.

Il messaggio del film

Web Junkie è girato in lingua originale, non doppiato ma sottotitolato. Eppure la forza di ciò che mostra e racconta è così potente e intensa da rendere questo aspetto un particolare quasi trascurabile. Rimane una testimonianza unica e necessaria di come la videodipendenza sia un problema reale per le società orientali ma un rischio attuale anche per quelle occidentali, che all’interno di un mondo sempre più connesso e globalizzato, tendono a trasformare sempre più il principio di realtà in principio di virtualità.

 

Le domande da porsi dopo la visione del film

Come genitore mi sono mai posto il problema che l’utilizzo dell’online in età evolutiva possa essere causa di dipendenza?

Ho mai riscontrato atteggiamenti e attitudini nell’uso che ne fa mia figlio che a volte mi hanno fatto pensare allo sviluppo di una potenziale dipendenza?

Ci sono aspetti del mio uso personale degli strumenti elettronici che potrebbero colludere con il concetto di dipendenza?

Nel documentario, i genitori sembrano spesso in balia degli eventi che accadono ai figli? Che cosa secondo voi porta ad una perdita di contatto emotivo nella relazione con i figli? I videogiochi e gli strumenti elettronici sono causa di questa perdita di contatto o, al contrario, la dipendenza da essi ne è la conseguenza?

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