Prima il dovere e poi il piacere. Siamo sicuri che sia davvero così?
di Maura Manca, Psicologa
Prima il dovere, poi il piacere. È sempre vero? Perché non diamo la stessa importanza al piacere visto che ridere fa bene alla salute dei ragazzi (e non solo) e con il divertimento si apprende meglio e si libera il proprio potenziale?
Prima il dovere e poi il piacere è una delle tante frasi tramandate di generazione in generazione, ripetute fin dall’infanzia, che appartengono ai quei detti su cui si basa la saggezza popolare. Tante volte non pensiamo alle ripercussioni psicologiche che una piccola e semplice frase può avere su un bambino in fase di sviluppo. Non pensiamo che possono insediarsi nella nostra mente e diventare delle convinzioni personali, un modello di riferimento che condiziona il modo di pensare e di agire.
Tante persone si sentono in colpa quando si dedicano al piacere, vivono come se stessero facendo qualcosa di sbagliato, come quei momenti o quelle azioni non avessero lo stesso valore, come se non fosse un momento altrettanto importante per la nostra mente. Altre lo reputano una perdita di tempo, un tempo che non ha lo stesso valore di quando si compie il proprio dovere. Un dovere spesso pesa, affatica e non dà spazio agli aspetti ludici.
Quando si assolve al proprio dovere non c’è neanche lo spazio per ridere. “Fai la seria!” è una frase che mi hanno ripetuto innumerevoli volte quando facevo una battuta ironica o cercavo il lato divertente in ciò che stavo facendo. Ero seria, non ho mai preso quei momenti sotto gamba, eppure sorridere per alleggerire quei momento con una battuta veniva letto come una mancanza di serietà, come se stessi sminuendo quel compito e non avessi il senso del dovere. Si può essere seri senza essere seriosi, si può essere seri anche senza subire la pesantezza del dovere, si può apprendere anche divertendosi, anzi, l’apprendimento naturale, quello spontaneo, quello spoglio da tutti i condizionamenti, è senza dubbio il più efficace. Alleggerire la mente permette di eliminare le interferenze interne ed esterne e permette di far esprimere maggiormente il potenziale di una persona e di ottenere quindi un miglior risultato.
Non obbligatoriamente il dovere e il piacere devono andare in ordine cronologico, ma si possono anche unire.
Probabilmente dobbiamo ragionare in maniera più approfondita sul concetto di piacere e capire che troppo spesso gli diamo spesso un’accezione negativa.
Pensiamo a quanti “devi” vengono detti ai bambini e agli adolescenti tra la famiglia e scuola. Come ho detto in precedenza, un apprendimento più naturale, più libero dai condizionamenti della prestazione ad ogni costo e dall’imposizione di tempi e metodo è molto più efficace. Il tempo di stacco e di scarico corrisponde al tempo di recupero e non è superfluo, è uno spazio fondamentale per rigenerarsi e recuperare. Non si può stare sempre in modalità “devo, devo, devo”; si deve anche passare in modalità “voglio” o “off”. Tanti bambini sono già iper stressati già in tenera età e non hanno più il tempo di essere bambini.
Il dovere viene spesso associato agli obblighi, che siano essi scolastici, famigliari, morali e sociali, mentre il piacere è abbinato al divertimento a ciò che si desidera, che si vuole piuttosto che si deve. Perché invece non colorare il dovere di piacere e renderlo più interessante e gradevole, più legato al lo voglio fare piuttosto che al lo devo fare?
Prima di tutto dobbiamo capire se tutta la lista dei doveri che deve essere svolta quotidianamente è umana o se è un po’ troppo ambiziosa e priva di spazi di personali. La troppa pressione psicologica e fisica a lungo andare logora la salute psicofisica e non favorisce un corretto apprendimento.
Attenzione! Non significa che non si debba insegnare il senso del dovere.
Tanti bambini e adolescenti sono carichi di doveri ma non hanno sviluppato il senso del dovere forse perché sono troppo impegnati a svolgere compiti e non hanno neanche il tempo di metabolizzare ciò che stanno facendo e farlo proprio. Il senso del dovere si trasmette soprattutto con il buon esempio, con la coerenza educativa, con il dare importanza a ciò che si è e che si fa. Il senso del dovere deve essere inculcato fin dall’infanzia prima per se stessi, non si fanno le cose per gli altri. Non si dovrebbe dire a un figlio “fallo per me”, “fallo per quello o per quell’altro”, ma con pazienza e dedizione spiegare che ciò che fanno ha un tornaconto. Quando il senso del dovere diventa ansia e costrizione si rischia un rifiuto, un andare in opposizione o un subire la situazione che si sta vivendo.
Si deve iniziare a lavorare sul voglio e non solo sul devo e mettere i voglio e i devo sulla bilancia per capire da che parte pende per poi creare un equilibrio. Ci accorgeremo solo così, che tante cose che dobbiamo fare le vogliamo fare e che tante cose che vogliamo fare non le facciamo perché si attivano quelle componenti emotive che fanno vivere il senso di colpa.
Vedo bambini, e non solo minori, anche adulti, che arrivano stremati a fine giornata o al raggiungimento di un obiettivo e magari neanche soddisfatti per la troppa fatica psicofisica. La fatica e la costrizione remano contro l’espressione delle proprie potenzialità e contro l’apprendimento.
Non significa che non ci devono essere doveri nella vita dei figli e di noi adulti, significa che possiamo cambiare l’approccio a ciò che dobbiamo fare. Un approccio dove si respira, dove ci possiamo inserire anche altre variabili, dove ci possono essere anche dei tempi più umani, dove si può anche fare una battuta, uscire un attimo dagli schemi o fare un sorriso senza perdere il proprio obiettivo.