La plastica che mangiamo…
di Giorgio Donegani, Tecnologo alimentare
Mi ha mangiato il bancomat! Non è così raro che succeda: un’improvvisa amnesia, tre volte il PIN errato, e il distributore, invece di darci le banconote, si divora la nostra carta.
Cosa c’entra questo con il tema dell’articolo? C’entra, perché se per la maggior parte di noi è piuttosto raro trovarsi a distribuire mazzi di banconote, secondo un’analisi commissionata dal WWF e realizzata dall’Università di Newcastle, nel nostro stomaco finirebbero ogni settimana circa 5 grammi di plastica, proprio come se mangiassimo una carta bancomat. Con quali effetti per la nostra salute? Andiamo con ordine…
Microplastiche: cosa sono?
Rappresentano l’ultimo allarme in tema di contaminanti ambientali: ogni giorno, senza accorgercene, ingeriamo piccole particelle di plastica, grandi al massimo 5 mm, definite “microplastiche”. E non si tratta di quantità irrilevanti: secondo uno studio della University of Victoria (Canada), pubblicato su Environmental Science & Technology, si stima che ogni persona ingerisca addirittura da 39.000 a 52.000 microplastiche l’anno.
Da dove vengono? Si possono formare per degradazione di rifiuti e materiali plastici o vengono aggiunte volontariamente a prodotti come detersivi, vernici e persino scrub per la pelle. Dall’ambiente, poi, possono raggiungere in diversi modi gli alimenti e con questi finire nel nostro stomaco, così in un anno rischiamo di mangiare più di due etti e mezzo di plastica.
Quali effetti hanno sulla salute?
Gli studi su cosa comporti per il nostro organismo ingerire ogni giorno un po’ di plastica sono in corso, ma i dati finora emersi sono tutt’altro che rassicuranti. Secondo una nuova ricerca dell’University Medical Center (UMC) di Utrecht, le microplastiche possono danneggiare la salute accelerando la morte delle cellule del sistema immunitario. Gli scienziati hanno osservato che, in alcune condizioni, le nostre cellule di difesa si sbagliano e scambiano le particelle di plastica per germi pericolosi, così le incapsulano per neutralizzarle e dopo poco muoiono: un sacrificio inutile che indebolisce le nostre difese e che potrebbe favorire l’insorgere di una infiammazione.
Un altro motivo di preoccupazione viene dal fatto che le microplastiche potrebbero veicolare nel nostro organismo sostanze chimiche pericolose usate nella loro produzione (per esempio ftalati e bisfenolo A), e anche contaminanti ambientali che si possono depositare sulle microplastiche ed essere assorbiti durante il loro uso o il permanere nell’ambiente.
Infine, ci sono batteri e germi nocivi che trovano proprio nella plastica un habitat ideale per vivere e che quindi possono, attraverso le microplastiche, entrare nel nostro corpo come ospiti tutt’altro che desiderati.
In quali alimenti si trovano?
La plastica è un materiale che persiste per tempi lunghissimi (anche secoli) nell’ambiente e le rilevazioni eseguite indicano come le microplastiche siano ormai presenti dappertutto, sia nel terreno sia nell’acqua, al punto che quantità molto alte sono state trovate persino nei ghiacci dell’Artico. È proprio la presenza delle microplastiche nelle acque marine (anche quelle del Mediterraneo) a preoccupare maggiormente, perché i pesci le ingeriscono facilmente, senza accorgersene oppure scambiandole per cibo o prede. Merluzzi, sugarelli, sardine, triglie, spigole… sono molte le specie nelle quali si trovano frequentemente microplastiche: una recente ricerca condotta dall’Università Politecnica delle Marche, Greenpeace e dall’Istituto di Scienze Marine del CNR di Genova, ha evidenziato che tra il 25 e il 30% dei pesci e invertebrati analizzati, provenienti dal Mar Tirreno e dall’Adriatico, conteneva microplastiche. Nei pesci le particelle di plastica si raccolgono soprattutto nel tratto gastrointestinale, così i rischi maggiori si corrono con le specie piccole che non vengono eviscerate prima di consumarle, ma ancora più rischiosi sembrano essere i molluschi a conchiglia, come le cozze, che traggono il nutrimento filtrando l’acqua e che quindi possono accumulare al loro interno una quantità elevata di microplastiche.
Anche il sale se ne è rivelato una fonte importante, in particolare quello “integrale” che spesso si consuma pensando sia più sano, così come quantità significative di microplastiche si sono rilevate anche nello zucchero e nel miele. Ma non sono solo gli alimenti solidi a preoccupare…
Bere le microplastiche
Una ricerca recente condotta dalla rivista Salvagente ha evidenziato come le microplastiche siano normalmente presenti anche nelle bevande che siamo abituati a gustare per dissetarci: tè, cole, gassose, aranciate, acque toniche… nessuna si è dimostrata indenne dalla presenza di minuscoli frammenti plastici.
A destare le maggiori preoccupazioni però è l’acqua che beviamo. Una recente ricerca Canadese ha valutato la differenza tra acqua in bottiglia (di plastica) e acqua del rubinetto, si è osservato che il campione di persone abituato a bere solo acqua in bottiglia ha ingerito in un anno la bellezza di 90.000 microparticelle di plastica, contro le 4.000 di chi invece ha bevuto solo acqua di rubinetto. Attenzione però: ogni vantaggio rischiamo di perderlo se l’acqua del rubinetto la conserviamo in borracce di plastica o, peggio, se usiamo a questo scopo le bottigliette di minerale ormai vuote.
Le nanoplastiche: di male in peggio…
Nel caso non bastassero le considerazioni fin qui fatte sul problema delle microplastiche, a creare ulteriore ansia c’è il fatto che nel tempo le microplastiche si frammentano in particelle sempre più piccole, sino a formare le cosiddette “nanoplastiche”. Sono particelle di dimensioni microscopiche e tanto piccole da potersi persino infiltrare nei tessuti dell’organismo e all’interno delle cellule. Che effetti possono avere questi intrusi sulla funzionalità dell’organismo? Se già è difficile valutare gli effetti delle microplastiche, figuriamoci quelli delle nanoplastiche, ma non ci vuole molto a immaginare che sostanze estranee all’interno delle nostre cellule ben difficilmente le possano rendere più sane…
Cosa possiamo fare?
È chiaro che quello delle microplastiche è un problema mondiale che affonda le radici in un’unica causa: l’eccessiva produzione e l’esagerato uso della plastica. Non possiamo cero smettere di bere o di mangiare per evitare di ingerire le onnipresenti microplastiche, ma possiamo certamente fare in modo che il problema con il tempo si ridimensioni… Rimuovere le microplastiche che già sono disperse nell’ambiente è evidentemente impossibile, ma si può impedire che continuino a formarsene, e devono essere prima di tutto i governi e le imprese a dimostrare senso di responsabilità con provvedimenti davvero incisivi. Per esempio, vietando l’aggiunta volontaria di microplastiche ai prodotti (primi tra tutti i cosmetici e i detersivi, ma anche alcuni prodotti per l’agricoltura). Peraltro, da questo punto di vista va detto che l’Italia per una volta si è dimostrata particolarmente sensibile ed efficiente: dall’anno scorso nel nostro Paese è già vietata la vendita dei cosiddetti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante e di detergenti contenenti microplastiche. Ma molto può fare anche ciascuno di noi nel suo piccolo, semplicemente attuando in modo efficiente il riciclo della plastica ed evitandone l’utilizzo ogni volte che si può. Ne vale davvero la pena…