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La cultura della prevenzione deve iniziare dall’adolescenza

di Maurizio Tucci, Presidente Laboratorio Adolescenza

5 dicembre 2019

1014 Views

Necessario creare una cultura della prevenzione della salute fin dall’adolescenza, da costruire in famiglia, ma anche attraverso uno stretto rapporto di fiducia con il proprio medico, che deve essere visto sempre di più come un punto di riferimento non solo per la gestione delle emergenze di salute. Sono queste le priorità di intervento che emergono dalla lettura dei dati di una indagine realizzata dalla Associazione Laboratorio Adolescenza e l’Istituto di Ricerca IARD in collaborazione con Family Health.

I dati dell’indagine

La maggioranza degli adolescenti (54%) va dal medico solo quando emerge un problema di salute specifico e non per controlli periodici; solo il 58% afferma di aver fatto il richiamo della vaccinazione contro il tetano (mentre il 34% non sa nemmeno se l’ha fatto oppure no); il 42% non conosce il proprio gruppo sanguigno ed il 30% delle femmine (ma addirittura il 63% dei maschi) non ha fatto la vaccinazione contro l’HPV.

Questi sono, in estrema sintesi, i dati che derivano da una indagine realizzata da Istituto di Ricerca IARD, Associazione Laboratorio Adolescenza e Family Health su un campione nazionale rappresentativo di 2000 studenti di terza media (età 13-14 anni) nel corso dell’anno scolastico 2018-2019.

Hai fatto la vaccinazione di richiamo contro il tetano?

 

2019

maschi femmine

58,0

61,0 55,0
No 5,6 5,6

5,6

Non ricordo 34,2 30,5

38,1

 

Quando vai dal medico?

 

2019 maschi femmine

Una volta all’anno per controlli sistematici

15,2

15,8 14,6
Più volte all’anno per controlli sistematici 28,9 28,7

29,0

Solo quando ho qualche problema di salute 54,4 53,1

55,8

 

Se da un lato non sorprende che gli adolescenti – nel pieno dell’età in cui ci si sente “immortali” – non siano particolarmente attenti alla prevenzione della salute, dall’altro emerge – proprio considerando la giovane età del campione – anche una non adeguata attenzione da parte dei genitori.

Ragionevolmente non si può pretendere che a 13 anni ci si ricordi autonomamente della scadenza dei richiami vaccinali, ci si preoccupi di vaccinarsi contro l’HPV o si decida di andare a fare una visita di controllo dal proprio medico. A quell’età è necessario che sia la famiglia a indurre questi comportamenti avviando i figli adolescenti a comprenderne l’importanza. Ma perché questo si verifichi è altrettanto necessario che tra la famiglia e il medico che ha in cura i propri figli ci sia una virtuosa sinergia che possa abituare gli adolescenti a vedere nel medico un punto di riferimento non solo per la gestione delle emergenze di salute, ma come una figura di supporto anche (se non addirittura soprattutto) per tutto quanto attiene alla prevenzione.

Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza è un delicatissimo susseguirsi di mutamenti fisici e psicologici, ma anche di passaggi rituali. Tra questi c’è anche il passaggio dal pediatra al medico dell’adulto. Una transizione non sempre facilissima perché, mentre il pediatra conosce comunque tutta la storia clinica e familiare del suo paziente (spesso fin dalla nascita in poi) e – attraverso i bilanci di salute – mantiene una frequentazione al di là delle emergenze, il medico di famiglia deve costruire con l’adolescente un rapporto ex-novo basato sulla conoscenza e la fiducia.

E poiché una delle felici caratteristiche dell’adolescenza è una salute complessivamente buona, se non c’è una abitudine consolidata alla frequentazione del medico anche per avere indicazioni e supporto su stili di vita adeguati e prevenzione, il rischio è una pericolosa rarefazione del rapporto. “Non vado dal medico da tre anni” riferisce Giulio (16 anni) in uno dei focus group realizzati da Laboratorio Adolescenza a corollario dell’indagine quantitativa.

Esigenza di riservatezza

Proprio l’aspetto della “riservatezza” può essere una chiave di volta per l’instaurarsi di un proficuo rapporto tra un adolescente e il proprio medico. Dai risultati dall’indagine emerge, infatti, che un terzo degli adolescenti intervistati avrebbe piacere di avere dei momenti di colloquio riservato con il medico, senza la presenza dei genitori. Un contatto prezioso, che molti pediatri già propongono (ma non possono certo imporre), e che dipende dalla sensibilità dei genitori nel rispettare le esigenze di privacy dei figli.

Oltre che a causa del “presenzialismo” dei genitori, la mancanza di “confidenza” tra gli adolescenti e il loro medico deriva, in parte, anche dalla convinzione – errata – che i giovanissimi hanno circa il loro diritto alla privacy. Quasi il 50% del campione ritiene, infatti, che il medico debba e possa sempre riferire ai genitori (se si è minorenni) quanto viene detto in un colloquio, anche se riservato.

Le cose, nei fatti, non stanno proprio così. Ci sono situazioni specifiche definite da leggi ad hoc in cui anche al minore è garantito il rispetto della privacy. E’ il caso, ad esempio, dell’interruzione volontaria di gravidanza (in cui la adolescente ha il diritto di autodeterminarsi senza che i genitori lo vengano necessariamente a sapere) o della prescrizione della pillola del giorno dopo, o della diagnosi di sieropositività (qui con possibili deroghe legate ad una eventuale “giusta causa” invocata dal medico nel caso ritenesse indispensabile informare i genitori).

Lì dove non c’è una normativa specifica il medico ha la possibilità, ma non l’obbligo deontologico, di non informare i genitori. In altre parole, se il medico ritiene che il suo silenzio non sia pregiudizievole per la salute dell’adolescente, ha la facoltà – e probabilmente il dovere etico – di garantire al suo giovane paziente assoluta riservatezza su quanto ha saputo e quanto eventualmente indicato o prescritto. Nel caso in cui ritenga invece che tenere all’oscuro i genitori possa pregiudicare la salute del minore, può – e deve – informarli senza che ciò si configuri come violazione del segreto professionale.

Adolescenti consapevoli dell’importanza della storia sanitaria familiare

Dall’indagine emergono anche aspetti decisamente positivi: il 74% degli adolescenti risulta consapevole del fatto che conoscere la propria “storia sanitaria familiare” (che consente di sapere, ad esempio, se possono esserci predisposizioni ereditarie a qualche patologia) può essere molto utile in termini di prevenzione. Peccato però che, all’atto pratico, solo un terzo degli intervistati dichiari di conoscerla (e bisognerebbe capire quanto).

Secondo te, conoscere la propria “storia sanitaria familiare” – per sapere se possono esserci predisposizioni ereditarie a qualche patologia – può essere utile in termini di “prevenzione”?

 

2019 maschi femmine

74,2 69,8 78,8
No 4,6 5,8

3,3

Non lo so 18,6 20,8

16,2

Molto spesso questa carenza nel passaggio di informazioni, tra genitori e figli, sulla storia sanitaria familiare, non deriva da scarsa attenzione o da cattiva volontà, ma proprio dal fatto che talvolta, anche all’interno di una famiglia, queste informazioni manchino o siano disperse tra la memoria e qualche cassetto in cui sono conservate diagnosi e referti.

Ed è proprio questo l’obiettivo con cui è stato progettato e costruito Family Healt: fornire ad ogni famiglia uno strumento per archiviare in modo semplice e protetto (ma di facile accesso) tutta la propria storia familiare. Lì dove l’utilizzo di una moderna piattaforma informatica potrebbe anche rappresentare lo spunto per avvicinare i giovanissimi a questa preziosa attività di archiviazione.

Una “card” per affrontare ogni eventuale emergenza sanitaria

Una ulteriore “notizia positiva” che arriva dai risultati dell’indagine riguarda il senso di responsabilità dei giovanissimi intervistati: al 68,4% interesserebbe avere una “card” personale nella quale fossero contenuti tutti i propri dati sanitari da mettere a disposizione – all’occorrenza – di medici e/o operatori sanitari. E questo sarebbe tanto più utile, secondo loro, per i viaggi all’estero (per motivi di studio o di vacanza) che, sempre più spesso, gli adolescenti affrontano senza i genitori.

Family Health si impegna a diffondere la cultura della prevenzione consapevoli che il primo passo per il proprio benessere è pensare alla salute.

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