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Test genetici e tumori, quando e dove farli

29 maggio 2017

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Di Tiziana Azzani, giornalista

Sempre più numerose le aziende e i laboratori che offrono test genetici per valutare il rischio individuale di ammalarsi. Queste iniziative apparentemente innocue si rivelano spesso fonte di fraintendimenti, ansia e problemi. Bernardo Bonanni (IEO) ci spiega perchè è fondamentale rivolgersi solo a centri specializzati.

 

 

Forse è capitato anche a voi. Sono andata a fare una corsa amatoriale una domenica mattina e mescolato tra il materiale promozionale che ti consegnano all’arrivo ho trovato un volantino che pubblicizzava un servizio di test genetici diagnostici e predittivi… un po’ per tutto, dalle intolleranze alimentari ai tumori.

Proliferano sul web e anche in Italia le aziende che invitano a fare esami genetici per valutare il rischio individuale di ammalarsi. I test genetici promettono di rivelare tutti i segreti nascosti nel DNA e di quantificare il rischio che ognuno ha di ammalarsi.

Dietro a queste iniziative apparentemente innocue (in fondo che rischio si corre a mandare un semplice campione di sangue o di saliva a un laboratorio?) in realtà si celano problemi e fraintendimenti. Se è vero che la medicina ha identificato alcuni geni che aumentano la predisposizione ad ammalarsi di determinate malattie, è anche vero che cercali è utile solo in alcuni casi selezionati. Abbiamo chiesto a Bernardo Bonanni, direttore della Divisione di prevenzione e genetica oncologica all’Istituto Europeo Oncologico, di aiutarci a orientarci tra i test per le malattie oncologiche.

Dottor Bonanni, i test genetici possono davvero dirci se una persona rischia di ammarlarsi di tumore?

Si, ma solo in alcuni casi particolari e selezionati attraverso un completo percorso di analisi del rischio. La medicina negli ultimi anni ha fatto enormi passi avanti in quello che gli anglosassoni chiamano “risk profiling” e proprio il profilo di rischio di una persona deve essere il perno da cui deve partire qualunque attività della medicina moderna, in particolare la prevenzione. Tra gli strumenti che abbiamo per delineare il profilo di rischio ci sono i test genetici, ma non sono l’unico strumento e soprattutto non vanno utilizzati da soli. I test genetici non sono uno screening di massa, come può essere oggi la mammografia per il tumore al seno proposta a tutte le donne a partire da una certa età anche senza alcun sospetto di malattia. I test genetici devono essere considerati come un’indagine di “secondo livello” da utilizzare solo quando ci sono elementi di sospetto significativo, e che possono guidare l’interpretazione del risultato.

Quindi l’analisi del DNA non è sufficiente per quantificare il rischio individuale?

Il rischio individuale deve essere valutato mettendo insieme tutti i fattori di rischio della persona, metabolici, endocrini, ambientali, modificabili come lo stile di vita e non modificabili come la genetica, appunto. Il rischio si completa con la storia personale e familiare di un soggetto e quindi dall’identificazione in parenti vicini e lontani di alcune malattie. L’insieme di tutte queste informazioni, qualora si sospetti una familiarità positiva, consente in alcuni casi di decidere il tipo di geni e di varianti da indagare, procedendo nell’indagine per gradi.

Può fare un esempio pratico?

In una donna che ha un tumore al seno, e che scopre che altre donne della sua famiglia hanno avuto lo stesso problema tra i 40 e i 50 anni di età, vale sicuramente la pena indagare i geni BRCA1 e BRCA2. Sappiamo infatti che la presenza di alcune mutazioni in questi geni si associa a un rischio aumentato di tumore sia al seno sia all’ovaio. Il risultato positivo a queste mutazioni, in una donna con familiarità, ci consente di prendere una decisione clinica, come l’intervento chirurgico preventivo o la sorveglianza attiva. È però vero che solo per alcune delle varianti genetiche di BRCA 1 e 2 conosciamo gli effetti dal punto di vista clinico, per altre mutazioni, sempre a carico degli stessi geni, abbiamo meno certezze. In termine tecnico, definiamo queste mutazioni non actionable, perché non ci consentono al momento di prendere una decisione clinica, sia essa di tipo diagnostico o terapeutico. È però importante indagarle dal punto di vista della ricerca, per poter in un prossimo futuro associare ad ognuna un ruolo preciso. Per questo è fondamentale che il paziente, prima di sottoporsi all’indagine genetica, venga informato e preparato sui possibili risultati che potrà ottenere. I risultati non possono essere lasciati in mano al paziente, ma devono essere interpretati.

Il suo Istituto ha appena messo a punto un “oncotest” che studia contemporaneamente 115 mutazioni genetiche ereditarie.  A chi si rivolge e cosa consente di scoprire questo test?

Si tratta di un pannello multigene, che indaga contemporaneamente più geni. Sono mutazioni genetiche conosciute, ma solo per un quarto di esse sappiamo associare un effetto specifico e quindi un’azione clinica. Nella maggior parte dei casi, invece, abbiamo bisogno di raccogliere ancora informazioni e sono proposte proprio con intento di ricerca, per cercare di identificare il maggior numero di potenziali tumori ereditari. La nuova possibilità di avere informazioni su uno spettro molto più ampio di geni potenzialmente portatori di una mutazione ereditaria apre le porte a una più completa “medicina dell’alto rischio”, sempre più personalizzata, vale a dire una protezione dal rischio individuale e familiare di ammalarsi, attraverso programmi clinici sempre più efficaci, che vanno da speciali controlli di imaging a raccomandazioni alimentari, dalle terapie farmacologiche alla chirurgia preventiva.

Al momento il pannello completo è proposto gratuitamente alle donne con tumore ovarico, con l’obiettivo non solo di verificare la presenza delle alterazioni nei geni BRCA1 e 2, ma di correlare anche altre varianti genetiche.

In quali casi proponete l’indagine genetica e in quali casi suggerisce a un soggetto di sottoporsi a un test genetico?

L’insorgenza giovanile di un tumore in un soggetto, o in più persone della stessa famiglia, è certamente un campanello di allarme che deve stimolare l’accertamento genetico. Ricordiamoci infatti che l’invecchiamento è uno dei principali fattori di rischio di tumore; quando l’età non c’entra, come in un soggetto giovane, devono essere indagati altri elementi causali, come l’ereditarietà.

Tra i tumori giovanili valevoli di indagine genetica ci sono:

  • tumore mammario insorto prima dei 36-38 anni,
  • tumore mammario triplo negativo insorto prima dei 50 anni
  • Tumore allo stomaco insorto prima dei 50 anni (cosiddetto tumore gastrico diffuso)
  • Tumore del colon retto insorto prima dei 50 anni
  • Tumori intestinali, soprattutto quelli dovuti a poliposi multiple o forme di poliposi attenuate (FAP)
  • Tumore mammario maschile

Il tumore dell’ovaio, soprattutto se di tipo sieroso, è degno di un’indagine genetica anche in caso di insorgenza più tardiva, addirittura dopo i 60 anni di età.

Chiunque riceva una diagnosi di questo tipo di tumori o presenti uno o più casi in famiglia di queste malattie può trarre benefici dall’indagine genetica. È però fondamentale che non ci si affidi a laboratori “occasionali” privi di una struttura e di personale specializzato competente.

Come abbiamo detto prima, l’utilità del test genetico non consiste semplicemente nel risultato, ma nella sua interpretazione. Purtroppo, diversi pazienti sono arrivati nei nostri ambulatori dopo aver inviato il proprio campione di sangue a laboratori trovati via internet, anche negli Stati Uniti, che hanno indagato intere “batterie” di geni. Sono giunti da noi in ansia, perchè non erano in grado di comprendere i risultati dei pannelli. Non metto in dubbio la capacità e serietà di questi laboratori, ma vorrei sottolineare che si tratta appunto di solo indagini di laboratorio e non di consulenza.

Qual è il suo suggerimento alle persone che vorrebbero fare un test genetico?

Innanzitutto, rivolgetevi a centri specializzati che hanno personale competente e soprattutto che inseriscono il test genetico all’interno di un completo percorso diagnostico-terapeutico.

Non è necessario essere malati per fare un accertamento genetico. Se avete un sospetto, perché un vostro parente o familiare ha ricevuto una diagnosi di tumore, chiedete una consulenza. Nei nostri ambulatori vorremmo vedere sempre più persone sane, che ci vengono a chiedere cosa possono fare per rimanere in salute, esattamente come succede quando in famiglia ci sono casi di ictus o infarto. Questo è l’approccio della medicina preventiva. Questo è un modo per “sconfiggere” i tumori.

Family Health si impegna a diffondere la cultura della prevenzione consapevoli che il primo passo per il proprio benessere è pensare alla salute.

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