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Io non ho paura: un film che è anche uno slogan nei tempi del coronavirus

“Io non ho paura” è un film sul bisogno di bontà e coraggio, di sacrificio e responsabilità che è necessario mettere in gioco, quando la situazione è critica.

di Alberto Pellai, Medico Psicoterapeuta dell'età evolutiva, Ricercatore, Dip. Scienze Biomediche dell'università degli Studi di Milano

25 marzo 2020

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Regia di Gabriele Salvatores. 2003 con Diego Abatantuono, Dino Abbrescia, Aitana Sánchez-Gijón, Giuseppe Cristiano, Mattia Di Pierro. Cast completo Genere Drammatico – Italia, 2003, durata 95 minuti.

Trama

Filippo è stato rapito da una banda di malviventi di un paesino del sud, capitanati da un malavitoso residente al nord. Viene tenuto rinchiuso in una buca scavata sottoterra e coperta da una lamiera di ghisa. Tutta l’Italia lo sta cercando, ma nessuno sa che lui è nascosto lì sotto. Filippo legato ad una catena, pensa di essere nell’aldilà. Praticamente immobile, incapace di vedere, da alcuni mesi ormai è recluso lì sotto. Una volta al giorno, arriva qualcuno a portargli del cibo.

Ma un giorno, Michele, un bambino figlio di uno dei rapitori, scopre quel segreto. Dovendo recuperare un paio di occhiali persi dalla sorella durante un gioco di gruppo, nei pressi della casa abbandonata dove si trova anche il nascondiglio di Filippo, Michele per caso si accorge di lui. E immediatamente scatta una solidarietà tra bambini che, giorno dopo giorno, permetterà di spezzare la malvagia azione degli adulti. Il film “Io non ho paura” parla proprio di questa emozione: ovvero della paura e di come sconfiggerla. La paura di Filippo, che nascosto nella sua buca, non si sente più capace di credere nella vita e nemmeno in Michele, che alla vita lo vuole riportare. La paura di Michele, che in realtà è un’emozione sbiadita dal suo coraggio di saper sempre decidere qual è la cosa migliore da fare, in ogni momento. Lo si intuisce sin dalla prima scena, quando Michele salva Barbara dalla penitenza prepotente e sessista di Teschio, il bullo del loro gruppo di amici. E’ la prima avvisaglia di come Michele sappia vedere oltre ciò che si vede e quindi non può che essere lui quello che trova e che salva il bambino rapito, che tutti stanno cercando. Il film, nel suo svolgersi, mostra la fatica di passare dal “dentro” al “fuori” del piccolo Filippo. Anche se c’è Michele a guidarlo, Filippo non sa più se è in grado di reggersi sulle sue gambe, se può ancora aprire gli occhi per vedere la luce del sole, se per lui c’è sempre disponibile l’amore di mamma e papà che da mesi lui non vede. Sarà Michele a rendergli possibili tutte queste conquiste, a dargli la sicurezza di potersi fidare e affidare, non solo a lui, ma anche alla vita. E mentre Michele sa fare tutto questo, gli adulti invece si chiudono sempre più nel loro “dentro” sterile. Chiusi nelle case, non sanno come venire fuori da una situazione criminale che non avevano immaginato diventare così lunga e così problematica. Così impegnati a rubare l’infanzia ai bambini, non riescono più a dare senso a nulla. Si vedono, nel film, mamme disperate e confuse che colludono silenziosamente con mariti criminali di cui però, non condividono nulla. E si osservano uomini incapaci di costruire un equilibrio sano e cooperativo  e di rimando incapaci di dare senso alla propria vita e a quella di chi vive loro intorno. Così ad un certo punto, tutto diventa caotico. Tutti si perdono. E solo i bambini, ancora capaci di seguire la loro guida interiore e spirituale, sapranno riportare ordine nel disastro di cui gli adulti si sono resi responsabili.

Che cosa ci insegna questo film

“Io non ho paura” è un film perfetto per le nostre famiglie, al tempo del coronavirus. Un film da vedere insieme ai nostri figli preadolescenti, perché tutti i temi intorno ai quali oggi ci stiamo dibattendo e rispetto ai quali dobbiamo dare risposta ai nostri figli, sono presenti in questa favola moderna, che pur abitata da molti momenti bui, alla fine si risolve come le migliori storie a lieto fine.

C’è nel film una costante minaccia di morte che attanaglia le sorti del piccolo Filippo. La virale malvagità e stupidità degli adulti potrebbe trasformarsi in un gesto assassino verso un bambino che non ha alcuna colpa. E quella minaccia è comparabile a quella di un virus, invisibile e pericolosissimo, che in modo totalmente anarchico è comparso nelle nostre vite e nelle nostre comunità seminando ansia, paura e morte.

C’è il tema del dentro e del fuori, così difficili da conciliare in questi giorni di reclusione. Filippo è recluso in un “dentro” buio e nascosto, proprio come tutti noi che per legge, oggi, non possiamo più mettere il naso fuori di casa. Michele piano piano lo porta fuori. Ma il passaggio è complesso. Oggi ci viene chiesto l’opposto: ovvero stare in un dentro confinato. Prima o poi dovremo fare il passaggio opposto. E non sarà tutto così facile, pur avendone molto desiderio. Potremo ancora fidarci dell’altro, da cui siamo stati addestrati e intimati a stare distanti? E se tutti cominciassimo a pensare che chi mi è accanto, può infettarmi? E che cosa succederà ai nostri figli, che dovranno ritrovarsi a riprendere ritmi e abitudini che per un tempo lunghissimo sono stati discontinuati e modificati?

Infine c’è nel film il tema della cooperazione. Solo l’unione dà la forza e genera solidarietà. Ma in più passaggi il film ci mostra come è complesso generare cooperazione nei contesti sociali ai quali apparteniamo. I bambini, all’interno del gruppo, subiscono le azioni prepotenti e divisive del bullo. I grandi, nelle loro azioni maldestre, si mostrano costantemente in agonismo e mai capaci di generare un’intesa al proprio interno. Solo Michele si presenta come un soggetto capace di agire in modo protettivo ed è sempre capace di cooperare con chi ha bisogno, con chi non ce la fa. Lo fa all’inizio del film, quando tutti stanno correndo per vincere una gara e lui torna indietro per soccorrere la sorellina caduta che ha rotto gli occhiali. Lo fa con Filippo, salvandogli la vita, contro tutto e contro tutti. Addirittura contro se stesso, rischiando di morire, ucciso dalla mano del suo stesso padre.

Il film si presta in modo particolare ad essere visionato con i nostri figli, a partire dagli 11 anni, in questi giorni così complessi. Il suo messaggio, alla fine,  risulta proprio racchiuso nelle quattro parole che ne definiscono il titolo: Io non ho paura. Quattro parole che, oggi più che mai, ciascuno di noi deve imparare a dire.

Il messaggio del film

“Io non ho paura” è un film sul bisogno di bontà e coraggio, di sacrificio e responsabilità che è necessario mettere in gioco, quando la situazione è critica e quando l’inaspettato irrompe nelle nostre vite. In “Io non ho paura” queste quattro parole chiave (bontà, coraggio, sacrificio, responsabilità) sono molto più incarnate nella vita dei bambini che in quella degli adulti. Come a dire che: Il mondo si salverà solo se noi impareremo ad essere come bambini.

Le domande da porsi al termine del film

  • Filippo ha paura di fidarsi e affidarsi a Michele. Alla fine però ci riesce. Quali sono i passaggi della relazione tra i due bambini che permettono a Filippo di credere in Michele e a nutrire fiducia nei suoi confronti?
  • Gli adulti, nel film, sono persone che sembrano incapaci di pensare ai bisogni dei bambini, tanto da violarne l’incolumità, come succede a Filippo. In questo le mamme del film, sembrano persone in balia di ciò che accade, incapaci di fare resistenza. Cosa vi colpisce dei “copioni” delle mamme? Perché il loro modo di stare sulla scena diventa un ulteriore fattore di rischio per i loro figli?
  • Michele ha molte competenze che appartengono alla lista delle cosiddette “life skills” (competenze per la vita), che l’Organizzazione Mondiale della Salute chiede a noi adulti di formare nel percorso di crescita dei minori. Si tratta di empatia, problem solving, pensiero critico e creativo, gestione dello stress. Sapete riconoscere in quali passaggi della storia, Michele risulta davvero bravo nel mettere in gioco queste abilità.

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