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A testa alta. Quando la rabbia è l’unica emozione che ti permette di sopravvivere

Il dolore, la disperazione, la rabbia e la fatica di vivere possono ritrovare un ordine e un equilibrio all’interno delle molte occasioni che la vita ci offre

di Alberto Pellai, Medico Psicoterapeuta dell'età evolutiva, Ricercatore, Dip. Scienze Biomediche dell'università degli Studi di Milano

7 aprile 2020

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Regia di Emmanuelle Bercot. 2015 con Catherine Deneuve, Rod Paradot, Benoît Magimel, Sara Forestier, Diane Rouxel. Cast completo Titolo originale: La Tête haute. Genere Drammatico, – Francia, 2015, durata 120 minuti.

Trama

Malony è un ragazzo arrabbiato. La sua rabbia lo ha messo più volte nei pasticci. Ha avuto problemi relazionali, problemi con la giustizia, problemi con suo fratello, problemi con la sua ragazza. E sempre per lo stesso motivo: quando qualcuno gli mette un limite o prova a metterlo nelle condizioni di dover tollerare una frustrazione, Malony non capisce più niente. E dà fuori di matto.
In realtà, Malony è un ragazzo in fuga dalla propria storia di vita. La sua esistenza è fatta di sofferenza e abbandoni. Ci sono ferite antiche che originano nella prima parte della sua vita, che Malony porta con sé in tutto il suo percorso di crescita e che ne condizionano lo sviluppo, il funzionamento e i comportamenti. Il modo in cui il regista apre il film è molto indicativo: si vede Mallony nella stanza di un giudice che in silenzio ascolta la madre che parla di lui come di un bambino impossibile e ingestibile. La madre lo abbandona lì, in quella stanza. E da quel momento Mallony diventa figlio del sistema di giustizia francese che si deve far carico della sua crescita e dei suoi bisogni evolutivi.
L’esistenza di Mallony è uno slalom ininterrotto tra trasgressione e crisi di rabbia. Mallony è un tipo che esce sempre “dalle cornici e dai confini”: è perennemente in fuga e perennemente alla ricerca, anche se non ha alcuna comprensione di ciò che realmente si lascia alle spalle quando scappa e di quello che va cercando quando si mette in viaggio e alla ricerca.
La storia propone una serie di passaggi di crescita di Mallony che hanno sempre il medesimo punto di snodo: la stanza di un giudice minorile che di fronte ad ogni decisione da prendere per la protezione e la riabilitazione psico-emotiva del ragazzo cerca sempre nuove strade per garantirgli la possibilità di credere nel proprio futuro, di avere speranza nel proprio progetto di vita e fondamentalmente di recuperare quella fiducia in se stesso e quel senso di autostima che è stato profondamente leso e intaccato dalla vicenda di abbandono materno.
Il giudice minorile è una donna riflessiva e razionale, molto attenta a cercare di capire cosa è bene fare per questo ragazzo così ribelle. Ma nulla sembra funzionare di fronte all’irascibilità e all’impulsività di un minore che nei suoi legami più intimi  e profondi – ovvero quelli famigliari – non ha mai avuto nessuno che si è preso la responsabilità di farlo crescere di proteggerlo.
La rabbia di Malony perciò è un “agito” che trasforma in azione ciò che il ragazzo non riesce a raccontare con le parole. Parole che nessuno gli ha insegnato a dire, a scrivere, a comunicare. Ed ecco, perché è così importante la scena lentissima e ripetitiva in cui un’insegnante di uno degli ennesimi centri di riabilitazione in cui il ragazzo viene accolto,  passa un tempo infinito ad insegnargli con pazienza come scrivere le parole per raccontare chi è lui e qual è la sua storia su un documento che dovrebbe permettergli di trovare un posto di lavoro. Che poi nel suo caso, significa anche un posto nel mondo.
Addomesticare la rabbia di Mallony sembra,  per buona parte del film, un’impresa impossibile. Ma il giudice minorile, che in questo film diventa la vera figura genitoriale per Malony, non rinuncia mai a continuare a sperare e non abbassa mai lo sguardo, quando ha davanti a sé quel ragazzo ribelle. Provvedimento dopo provvedimento, le azioni che la giustizia fa sembrano limitare sempre più la speranza per Malony e invece si rivelano scelte oculate che gli permetteranno di ridare senso e dignità alla sua esistenza.

Cosa ci insegna questo film

Il film è una magistrale descrizione di come la rabbia nei giovanissimi a volte rappresenti un grido di dolore infinito che non si può spegnere e addomesticare perché troppo grande è la ferita che lo ha generato. La madre di Mallony è un esempio perfetto di ambivalenza, ovvero di quell’amore sbagliato di cui a volte alcuni adulti disfuzionali sono –loro malgrado – protagonisti. Anch’essa irrisolta, lega il proprio figlio a sé all’interno di un doppio legame dove il ricatto affettivo diventa l’elemento che ogni volta genera il caos interiore in Mallony e ne peggiora progressivamente gli agiti e lo stile con cui sta al mondo.
Il finale del film ci racconta però che anche il dolore, la disperazione, la rabbia e la fatica di vivere possono ritrovare un ordine e un equilibrio all’interno delle molte occasioni che la vita ci offre se le sappiamo cogliere. Diventando inaspettatamente padre, Malony può ripensare a tutti gli insegnamenti che il giudice minorile gli ha messo a disposizione. E’ nelle parole di quella donna saggia e tranquilla, è nella stretta di mano che gli ha offerto in uno dei loro incontri più dolorosi, è nell’abbraccio che ora possono finalmente scambiarsi dopo 10 anni di scontri e incontri in cui tutto il mondo appariva come un nemico: bene, è proprio in tutte queste cose che sta la verità della vita e l’essenza del senso di sé. Malony, uscendo a testa alta dal palazzo di giustizia, dopo aver portato il suo bambino dall’unica donna che veramente lo ha amato e rispettato, che è stata per lui madre, può guardare avanti a sé, rinunciare alla rabbia su cui ha appoggiato il dolore della sua infanzia e adolescenza e può andare incontro ad un nuovo futuro. Per sé e per il proprio bambino.

Le domande da porsi al termine della visione del film

  1. La rabbia di Malony è ciò che si vede sempre nel film. Ciò che non si vede è invece la sua profonda tristezza, il dolore conseguente l’abbandono subito da bambino. Perché, secondo voi, per Malony è così difficile vivere la propria tristezza e molto più facile trasformarla in rabbia?
  2. Il giudice minorile non smette mai di credere in Malony e nelle sue potenzialità. Che cosa possiamo imparare noi genitori dal modo di agire del giudice minorile e dal suo stare in relazione con Malony, anche nei momenti più complicati della sua vicenda?
  3. Che cosa rappresenta secondo voi il modo in cui Malony e il giudice minorile si salutano alla fine del film?
  4. Come mai l’esperienza della paternità è per Malony esperienza di riscatto e di ridirezionamento?

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