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La farmacogenetica: a che punto siamo?

di Francesca Torricelli e Anna Baroncini,

25 luglio 2018

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La Farmacogenetica studia le associazioni individuali fra caratteristiche genetiche e farmaci. Test in grado di stabilire il farmaco appropriato e la giusta dose per un determinato paziente per una migliore efficacia , ridurre gli effetti collaterali e sviluppare nuovi farmaci .

La farmacogenetica è una disciplina emergente che si occupa dello studio delle associazioni individuali fra caratteristiche genetiche e risposta a farmaci. Finalità primaria dei test di farmacogenetica è l’analisi delle variazioni nella sequenza del DNA e quindi dei profili specifici di risposta ai farmaci in relazione a efficacia, interazioni e rischio di reazioni avverse. La ragione per cui soggetti diversi rispondono in modo diverso allo stesso farmaco è legata al grande numero di proteine (enzimi, recettori, trasportatori del farmaco) che intervengono nella risposta alla terapia farmacologica e quindi alle differenze genetiche dei singoli individui.

Una analisi di farmacogenetica dovrebbe essere considerata uno dei criteri fondamentali per la scelta terapeutica ogni qual volta esista una correlazione certa tra costituzione genetica e risposta al farmaco. Il fine ultimo è quello di mettere a disposizione del clinico dei test da inserire nella normale pratica clinica allo scopo di predire “a priori” come un determinato paziente risponderà a una certa terapia sia in termini di efficacia che di effetti collaterali, individuando per ciascuno il giusto dosaggio.

La conoscenza a priori di quali farmaci somministrare e a quale paziente comporterà: un impiego più sicuro dei farmaci da parte dei clinici, una ricerca mirata a sviluppare nuovi farmaci (avendo individuato target specifici per un farmaco specifico) e un impiego di risorse più razionale non utilizzando farmaci inefficaci e riducendo gli effetti collaterali, con ricadute positive anche in termine di costi sanitari

Esistono ancora alcune perplessità sull’applicazione dei test di farmacogenetica e sulla validità di alcuni “marcatori biologici-biomarker” (fattori genetici per i quali è stata individuata una forte capacità di influenzare l’azione dei farmaci) identificati. Inoltre, occorre ricordare che i test di farmacogenetica sono test genetici a tutti gli effetti e sollevano importanti questioni di carattere etico e di tutela della privacy. Molto si stanno impegnando su questa problematica le istituzioni come l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e la statunitense Food and Drug Administration (FDA), redigendo delle linee guida per garantire un corretto utilizzo dei test. Al momento, la FDA ha approvato oltre 176 farmaci che riportano indicazioni farmacogenetiche nel foglio informativo, mentre per l’EMA il numero è intorno ai 130 ma in continuo aumento. Tuttavia, solo per alcuni dei test presi in considerazione è stata accertata la “validità” del marcatore biologico esaminato e solo per pochi farmaci è necessario l’inserimento del test di farmacogenetica nella routine diagnostica.

Quali sono allora le barriere esistenti che ancora ostacolano il processo di applicazione della farmacogenetica nella pratica clinica?

Probabilmente in primo luogo la complessità “pratica” nel correlare le varianti genetiche individuate con la riposta al farmaco, insieme alla difficoltà nell’individuare quali geni sono coinvolti nella risposta ad una specifica terapia. Dato che molti geni contemporaneamente sono capaci di influenzare la risposta farmacologica, è ancora difficoltoso ottenere una visione d’insieme dell’impatto che ciascun gene ha su tale risposta. In secondo luogo, la limitata gamma di farmaci a disposizione per il trattamento di una condizione patologica. Se un determinato paziente possiede caratteristiche genetiche tali da rendere inadatto un certo  trattamento, per quel paziente dovrebbero esistere delle alternative per curarlo ma spesso tali alternative non sono disponibili.

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