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E’ scaduto: lo butto o non lo butto?

di Giorgio Donegani, Tecnologo alimentare

13 febbraio 2019

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È un classico, apri il frigorifero e ti accorgi che lo yogurt è scaduto da due giorni… Che fare? Se fosse ancora buono sarebbe un peccato buttarlo… Ma se non lo fosse? Cosa mi dice esattamente la data di scadenza? Quando un cibo “scaduto” va eliminato e quando invece si può consumare ugualmente in tutta sicurezza?

Primo: non sprecare!

Secondo uno studio recente voluto dalla Commissione europea, ogni anno nell’Ue finiscono tra i rifiuti più di nove milioni di tonnellate di prodotti alimentari che si potrebbero ancora consumare. Nel panorama generale, ’Italia non si distingue certo in positivo: da noi lo spreco di cibo, gettato quando è ancora in buone condizioni, raggiunge i 2 milioni di tonnellate annue. Una cifra enorme che, soprattutto in tempi di crisi come questo, deve farci pensare. Tanto più che, secondo i dati ministeriali, almeno il 10% di ciò che si spreca in casa si potrebbe evitare solo interpretando meglio l’indicazione della data di scadenza sulle etichette.

Data di scadenza e termine minimo di conservazione

Un primo punto da chiarire, infatti, è che la scadenza viene indicata in due modi diversi, secondo la natura dei prodotti.  Leggendo le etichette con un minimo di attenzione, è facile accorgersi che sulla confezione di alcuni prodotti troviamo l’indicazione categorica: “consumare entro il… giorno, mese, anno”, mentre su altri c’è scritto “consumare preferibilmente entro…”. Ecco: è proprio nella parola “preferibilmente” che si nasconde una differenza fondamentale tra quella che è la “data di scadenza” vera e propria e quello che è invece il “termine minimo di conservazione”.

Il TMC

Quando leggiamo “Consumare preferibilmente entro il…” siamo di fronte a quello che tecnicamente si chiama “termine minimo di conservazione”, o più semplicemente TMC. Basta applicare un minimo di buon senso per interpretarne correttamente il significato: “preferibilmente” non significa “obbligatoriamente” e il TMC indica praticamente la data entro la quale il produttore consiglia di consumare l’alimento per gustarlo nelle migliori condizioni. Trascorso questo tempo, il prodotto potrebbe magari non essere al meglio del suo sapore, della sua consistenza o del suo aspetto, ma si mantiene comunque sicuro e può essere consumato senza rischi per la salute. Perché buttarlo dunque? Sono moltissimi, del resto, gli alimenti per i quali avrebbe poco senso indicare una data di scadenza categorica, in pratica tutti i prodotti cosiddetti “non deperibili” che si conservano a lungo senza necessità di metterli in frigorifero: dallo scatolame, alla pasta, al riso, alla farina, all’olio di oliva, alle confetture, fino ad arrivare ai biscotti e ai prodotti secchi in generale, primi tra tutti i legumi…

Una questione di buon senso

Anche gli alimenti non deperibili però non sono tutti uguali: se per la pasta un paio di mesi dopo il TMC non sono un problema, lo stesso non si può dire, per esempio, per le uova che, se ben conservate (meglio in frigorifero), possono durare non più di qualche giorno una volta superato il termine minimo di conservazione. Per questo, la legge prevede che il TMC si possa indicare in tre modi:

  • per i prodotti alimentari conservabili per meno di tre mesi, come appunto le uova, vanno specificati il giorno, il mese e l’anno.
  • Per i prodotti alimentari conservabili per più di tre mesi ma non oltre diciotto mesi, è sufficiente l’indicazione del mese e dell’anno. In questo caso, si può generalmente consumare il prodotto anche 1-2 mesi dalla data del TMC.
  • Per i prodotti alimentari conservabili per più di diciotto mesi, è sufficiente l’indicazione dell’anno. Una scatoletta di tonno, per esempio, può anche durare diversi mesi oltre il TMC.

La regola fondamentale è comunque nell’uso del buon senso: nel caso dei prodotti confezionati, bisogna sempre assicurarsi che l’imballaggio sia integro e comunque, per tutti i prodotti, è necessario assicurarsi che non presentino colore o odore anomali e che non siano presenti muffe.

La data di scadenza

Quando sulla confezione si legge “consumare entro…” con l’indicazione del giorno, del mese e dell’anno, senza la parola “preferibilmente”, allora siamo di fronte a una data di scadenza vera e propria. Per legge deve essere riportata su tutti gli alimenti facilmente deperibili, cioè quelli che vanno conservati obbligatoriamente in frigorifero, perché a temperatura ambiente si altererebbero velocemente. La carne e il pesce freschi sono tra i prodotti più delicati, ma anche il latte fresco, lo yogurt, le insalate prelavate, i formaggi freschi e la pasta fresca rientrano nella categoria dei prodotti per i quali è obbligatoria la data di scadenza. In pratica, è necessaria per tutti quegli alimenti sui quali si possono facilmente sviluppare una quantità di germi (soprattutto batteri e muffe) che non solo alterano l’aspetto, il sapore e l’odore dei cibi, ma che possono anche renderli pericolosi per la salute. La conservazione in frigo dei prodotti deperibili, ben protetti in imballaggi adeguati, serve proprio a rallentare il più possibile lo sviluppo dei microrganismi.

Come comportarsi?

A differenza dei prodotti che riportano il TMC, consumare alimenti deperibili che abbiano superato la data di scadenza può comportare un rischio per la salute. Anche in questo caso, però, è opportuno lasciarsi guidare dal buon senso: uno yogurt, se viene sempre tenuto in frigorifero nella confezione ben chiusa, può anche superare di due-tre giorni la data di scadenza, senza per questo diventare in alcun modo rischioso per chi lo consuma, basta controllare che abbia un aspetto normale e non abbia odori e sapori anomali per poterlo gustare senza problemi. E lo stesso vale anche per il latte fresco: sempre chiuso nella sua confezione e tenuto in frigorifero a non più di 4°C può durare tranquillamente uno o due giorni oltre la data di scadenza, così come possono essere ancora buoni una crescenza o una mozzarella, se al momento del consumo non presentano un colore anomalo o evidenti segni di alterazione e hanno un buon gusto e un buon profumo. Il discorso cambia, invece, nel caso del pesce e della carne: alimenti tra i più delicati, quando sono scaduti possono costituire un pericolo per la salute anche se a guardarli sembrano ancora commestibili, il motivo è nel fatto che germi nocivi come lo stafilococco o la salmonella si possono sviluppare su questi alimenti senza dare alcun segno della loro presenza.  Insomma, se carne, pesci, crostacei scadono, meglio buttarli via senza alcun rimpianto.

 

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