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Perché “in amore” si perdonano troppi comportamenti e si concedono troppe parole? Perché crediamo al “troppo amore”?

di Maura Manca, Psicologa

8 gennaio 2020

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Bambini e adolescenti nuotano in mare ricco di stereotipi di genere, di paure e di limitazioni che vanno solo a rinforzare i ruoli. A parole gli vengono raccontate tante belle verità, ma a fatti, però, gli si fa capire spesso il contrario. Perché una ragazza o un ragazzo, anche giovanissimi, scambiano la possessività come segno d’amore? Perché crediamo ancora al “troppo amore”? Perché “in amore” si perdonano troppi comportamenti e si concedono troppe parole?

La violenza è un seme che germoglia piano piano, che si radica all’interno della personalità, delle modalità di relazionarsi, di pensare e di agire. Ci riempiamo la bocca di belle parole, tra cui prevenzione ma, se vogliamo veramente prevenirla e contrastarla, dobbiamo impedire che attecchisca e diventi una condizione “normale” e accettabile. Il problema vero, che tocco con mano fin da quando sono molto piccoli, è che i bambini nuotano in mare ricco di stereotipi di genere, di paure e di limitazioni che vanno solo a rinforzare i ruoli. In ogni forma di violenza ci sono dei ruoli ben definiti: abbiamo chi subisce, chi è carnefice e chi guarda, sa e non agisce. A parole si raccontano tante belle verità ai bambini e agli adolescenti, a fatti, però, gli si fa capire spesso il contrario. Questa incoerenza tra parole e comportamenti genera molta confusione. Perché una ragazza o un ragazzo, anche giovanissimi, scambiano la possessività come segno d’amore? Perché crediamo ancora al “troppo amore”? Perché “in amore” si perdonano troppi comportamenti e si concedono troppe parole? Se rispondessimo in maniera onesta a queste domande, forse, si aprirebbe un mondo, quel mondo che spiana la strada alla violenza di genere.

Violenza è una parola che ci spaventa, la associamo erroneamente a comportamenti estremi, all’omicidio, alla violenza fisica, senza capire che la violenza è anche verbale e psicologica e ha gli stessi identici effetti di quella fisica, sia a breve termine che a lungo termine. Tutto ciò che è imposto, che è forzato, che non è ciò che vogliamo, è violenza. La matrice della parola violenza è vis, forza, e rappresenta l’aspetto per cui c’è una persona più forte della quale sono infatuata, soggiogata o impaurita, non innamorata, che mi “guida”, mi condiziona, che io giustifico, di cui mi lamento, ma non mi ribello, forse anche perché mi hanno insegnato fin da bambina che ribellarsi non va bene. Questo è un segnale che i genitori devono assolutamente vedere; nel contempo, dovrebbero porsi anche delle domande basilari: qual è il ruolo del figlio nella coppia, quanto è influenzabile, si fa condizionare, si mette troppi limiti, giustifica dei comportamenti che non andrebbero giustificati? Ho seguito centinaia di ragazze e ragazzi tra vittime e violenti e spesso mi è capitato di vedere genitori rasserenarsi del fidanzamento della figlia perché non usciva più da “sola”, passava il tempo con il fidanzato e quindi avevano meno paura che le potesse accadere qualcosa: la verità è che in fondo avevano un controllo maggiore, senza capire che il problema era in casa, sotto i loro occhi. Bisogna quindi allenarsi a vedere i piccoli segnali, ovviamente senza creare inutili allarmismi, soprattutto per evitare di arrivare quando ormai sono già sintomi evidenti o il problema è manifesto. Non si può lasciar passare tutto, non si può venir meno a se stessi “per amore”. Si deve entrare nella testa dei figli, abbassare lo scudo e l’ascia della paternale tipica da genitore e sedersi al loro fianco per capire come la pensano, solo così è possibile comprendere se sono incastrati in una relazione o se stanno semplicemente vivendo la tipica conflittualità adolescenziale. Bisogna fare attenzione anche ai cambiamenti del loro modo di vestire, se si limitano nelle loro azioni, se moderano la loro vita sociale e le loro attività social. Quando un figlio ha un problema cambia il suo sguardo e un genitore deve essere lì pronto a cogliere anche i segnali che manda attraverso il corpo.

Non possiamo dare sempre e solo la colpa all’altro, ovviamente senza giustificare e sanzionando quei comportamenti, dobbiamo però essere anche noi a mettere un freno e un punto a specifici comportamenti, senza avere paura di perdere l’altro, senza timore di rimanere soli perché quando non c’è amore e ci costringiamo, siamo comunque soli, anzi, rischia di diventare una condizione quasi di prostituzione emotiva. Non si deve aspettare che l’albero della violenza generi i suoi frutti, si può e si deve sgominare partendo dall’andare oltre la cecità e la paura di vedere anche ciò che non si vuole vedere e soprattutto dal dialogo; si devono spogliare i figli dalle loro insicurezze, dai pregiudizi e dagli stereotipi di genere.

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