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Mamma/Papà, ho fame: perché i nostri figli in queste settimane sono sempre alla ricerca di cibo

di Alberto Pellai, Medico Psicoterapeuta dell'età evolutiva, Ricercatore, Dip. Scienze Biomediche dell'università degli Studi di Milano

1 aprile 2020

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In questi giorni di reclusione, è più frequente del solito sentire i nostri figli che dichiarano di essere affamati. Si aggirano spesso nella zona del frigo e della dispensa. Vorrebbero avere di frequente cibo da mettere sotto i denti da sgranocchiare.

Quando ci dicono “Ho fame” spesso non stanno parlando di appetito. Stanno parlando di bisogno di essere nutriti. Di avere una vita nutriente. La vita in isolamento sociale è una vita dove ci sentiamo tutti “deprivati”. E questo stato di deprivazione, giorno dopo giorno, crea un vuoto dentro di noi. Un vuoto che si fa sentire e che chiede di essere riempito.

E’ nel centro del corpo che quel vuoto si viene spesso a formare e a fermare. Lì ci sono tutti i nostri visceri, a contatto con cuore e polmoni. Il nostro cervello sposta nel corpo ciò che non riesce a contenere ed elaborare, ciò che lo fa sentire sofferente e deprivato. Sentirsi vuoti nel cervello ci farebbe sentire disperati. Sentirsi vuoti nella pancia ci fa, se non altro, pensare che c’è qualcosa che possiamo mettere dentro di noi per alleviare quella percezione dolorosa da cui, senza volerlo, ci sentiamo risucchiati. E’ un aspetto che si riscontra in modo clamoroso in alcune forme di disturbo del comportamento alimentare. Ci si ingolfa di cibo per provare a saturare una voragine affettiva, che in realtà nel cibo trova solo una temporanea soluzione. Poi si ripresenta più “ingombrante” che mai, facendoci sentire ancora più vuoti di prima. E quel riempirci e svuotarci alla fine ci intrappola in una compulsione in cui il cibo è un povero sostituto di altro. Che invece di nutrire, intossica.

Perciò, di fronte al “Mamma/Papà ho fame” che sentiamo spesso pronunciare dai nostri figli, noi dobbiamo imparare, in queste settimane, a coglierne il significato simbolico. Se dovessi riscrivere questa frase, se loro sapessero dircela nel modo giusto – ma queste parole non le hanno, perché non le sanno – noi dovremmo trasformare la loro richiesta facendola diventare: “Mamma/Papà, mi voglio nutrire”. O ancora meglio: “Mamma/Papà, siate nutrienti”. Perché è proprio questo che nostro figlio/a vorrebbe dirci in questi giorni, ovvero “Io, in questo periodo, ho fame di gesti, di baci, di abbracci, di nonni, di amici, di sole, di parco, di altalena, di scivoli, di partite a pallone”.

Ci sono cose che rimarranno, necessariamente, in un regime di deprivazione ancora per molte settimane. Parchi, amici, altalene, scivoli e nonni per molti nostri figli oggi restano un miraggio inarrivabile. In regime di isolamento e di evitamento sociale, non sappiamo e non possiamo sdoganarli nella loro quotidianità. Almeno in forma reale. Possiamo tenere in piedi, sostituti virtuali.

Però ci sono cose che possono essere ugualmente nutrienti, quanto se non più del cibo, troppo spesso usato in questi giorni come bene di conforto. Può essere confortante per il bambino condividere attività corporee. E’ bello ballare insieme per scaricare la troppa energia accumulata nel corpo, così come fare una sessione di rilassamento, mettendo una musica piacevole e tranquilla di sottofondo, chiedendo al bambino di trasformare il suo corpo in una statua di ghiaccio (irrigidendo tutti i gruppi muscolari) che un nostro dito “raggio di sole”, muovendosi sui differenti distretti, scalderà e scioglierà, producendo una piacevolissima sensazione di rilassamento e mollezza.

Possiamo inventare il rito legato alla co-visione di una serie televisiva da guardare tutti insieme. Nella nostra famiglia ne abbiamo trovato una che ci fa tanto ridere e adesso alla sera, tutti insieme ci facciamo grandi risate guardandone 2 o 3 episodi consecutivi. Poi il giorno dopo ci troviamo spesso a parlare di cosa hanno fatto i protagonisti negli episodi visti la sera precedente. E spesso, tornano le risate e le scene più divertenti nello spazio del pranzo o della cena. Ma ciò che mi ha colpito, è che la nostra figlia più piccola è diventata la più appassionata di questo appuntamento. Lei non vuole semplicemente guardare la serie televisiva. Lei vuole che noi siamo seduti di fianco a lei: solo in quel momento si può schiacciare il tasto “play” sul telecomando. Per lei la serie TV non è solo un momento di divertimento e intrattenimento, bensì un rituale affettivo attraverso il quale ricostruisce la sua immagina di sicurezza e famiglia dentro di sé.

Infine c’è il nutrimento che deriva anche dal cibo. Ma non quello ingurgitato con modalità “multisnacking” nel corso della giornata per riempire qualcosa che al centro della pancia non smette mai di farsi sentire. Bensì, il nutrimento che permette di far sentire il cibo come qualcosa che viene gestito e preparato con “cura”, qualcosa che serve a riempirti non solo la pancia ma anche il cuore. In effetti, il bene che manca di più negli ipermercati oggi è lievito e farina. Segno che in molte famiglie si prepara in casa la pasta, la pizza, la torta, la focaccia, il pane. Tutto impastato a mano. Tutto curato con gesti pieni di amore, di pazienza, di tenerezza.

Dobbiamo davvero imparare ad essere nutrienti con i nostri figli, in questo tempo di isolamento. Nutrirli nel vero senso della parola. Non solo con il cibo, ma anche attraverso il cibo. Ma soprattutto, attraverso la relazione, la disponibilità emotiva, la vicinanza affettiva, la pazienza. E’ di questo che sono desiderosi quando ci dicono: “Mamma/Papà ho fame”.

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