L’importanza di educare i figli a sfruttare le differenze individuali e la forza del gruppo
di Maura Manca, Psicologa

L’unione fa la forza: non è solo una frase fatta, è un dato di fatto. Ovviamente non si parla prettamente di forza fisica, ma di forza interna, legata alla gestione delle emozioni e delle funzioni mentali, mirata all’identificazione e alla pianificazione degli obiettivi, della gestione delle risorse interne ed esterne sfruttando la forza della interazione e delle differenze individuali.
Fare insieme significa “fare con”. L’interazione e relazioni di gruppo sono importantissime nelle varie fasi della crescita perché permettono a bambini e ragazzi di cooperare e lavorare insieme per il raggiungimento di un obiettivo comune. Le attività di gruppo servono per imparare il rispetto delle regole, dei tempi e degli spazi dell’altro, la tolleranza e la comprensione che tutti i membri rivestono un ruolo importante. Un cannoniere di una squadra di calcio non segnerebbe se non ci fosse la squadra dietro a supportarlo. Sono competenze che devono essere insegnante sin da piccoli, invece, ancora oggi, non si lavora a sufficienza sulla cooperazione e sulla condivisione.
La vita si impara vivendo, non si devono far saltare le lezioni di vita ai figli!
I bambini e i ragazzi hanno bisogno di sperimentarsi, di mettersi alla prova e di interagire con gli altri. Il confronto con i coetanei serve anche per misurarsi con sé stessi.
Imparare le regole del gruppo, il rispetto degli spazi e del tempo degli altri, permette anche di imparare a controllarsi, a prendere decisioni e a capire che le scelte hanno delle conseguenze. Fare esperienze di cooperazione e condivisione stimola il senso di appartenenza, di solidarietà e favorisce lo sviluppo dei comportamenti prosociali come l’altruismo e l’empatia. Tutto questo significa comprendere che le proprie azioni hanno degli esiti sugli altri e che si può anche far del male. Attraverso il contatto visivo è possibile vedere e riconoscere anche le emozioni dell’altro e quindi capire che esistono dei limiti e che non tutto è concesso.
Perché si parla poco di solidarietà?
La solidarietà tendenzialmente non fa notizia, attira poco l’attenzione, si ricerca maggiormente il gossip o la cronaca nera. Gli articoli più letti e i programmi più visti sono quelli in cui ci sono scontri, scorrettezze, litigate. Le persone solidali non sono le più popolari o le più ricercate, anzi, soprattutto tra i ragazzi, sono spesso etichettate come “sfigate”.
Si ricorre troppo spesso alla prevaricazione anche nelle attività quotidiane, scuola e sport compresi. Prevaricare non significa essere forti o leader, significa approfittare delle debolezze dell’altro e del proprio ruolo.
Educhiamoli alla partecipazione e al fare insieme
Bisogna educare alla partecipazione e alla condivisione, intesa come “dividere con”, fin dall’infanzia, in modo che diventi il loro modo di pensare e di fare.
Per prima cosa si deve educare con l’esempio. L’ambiente in cui viviamo e cresciamo può influenzare notevolmente il nostro cervello e lo sviluppo del bambino. Bambini e ragazzi apprendono maggiormente da ciò che vedono, il comportamento dei genitori diventa per loro un riferimento, un modello da seguire. Se gli adulti di riferimento, compresi i nonni, basano le loro interazioni sullo scontro e non sull’incontro, sulle litigate e prepotenze e non sulla tolleranza e ascolto, impareranno quelle come modalità corrette di relazionarsi.
Il segreto sta nel non far sbilanciare troppo la bilancia. Crescono troppo spesso in ambienti basati sulle comparazioni, non sul riconoscimento delle differenze individuali. Bisognerebbe insegnargli a vivere sia con persone che la pensano come loro che in modo differente. È proprio dal confronto con gli altri si cresce e si acquisiscono gli strumenti necessari per affrontare le piccole e grandi sfide quotidiane.
